Bruised - Lottare per vivere, la recensione

Un remake di Rocky a sessi invertiti e qualche altra variazione si dimostra un film più che decente anche se forse non è quel che voleva Halle Berry

Critico e giornalista cinematografico


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Bruised - Lottare per vivere, la recensione

È davvero facile riconoscere i modelli su cui è stato creato Bruised, operazione filmica più che film in sé, progetto di riqualificazione della sua star/regista Halle Berry più che storia veramente sentita. C’è ovviamente Rocky, fortissimamente Rocky sempre e solo Rocky dietro questo film, con qualche furto al miglior interprete moderno della struttura del film di Stallone, cioè è Warrior, e una fusione molto poco curata e molto generica con i film da “genitore indigente in lotta per un domani migliore con figlio a carico” stile La ricerca della felicità.

Bruised è un film concepito in un laboratorio mescolando provette e facendo calcoli: Rocky a sessi invertiti, con un figlio al posto di Adriana e l’MMA al posto della boxe.

L’obiettivo di riabilitare l’immagine di Halle Berry come attrice protagonista, di riposizionarla nel massimo del cinema d’autore che Hollywood può concepire (un film indie pensato su una struttura molto nota), è evidente e poco riuscito anche quando il film funziona. Non è infatti mai lei come interprete ad emergere ma semmai (incredibile a dirsi!) la sobrietà e la decisione della sua regia. Mano ferma, nervi saldi e chiarezza di visione.
Bruised sarebbe un progetto perdente in partenza (fare un film di sport e arti marziali con al centro un’attrice che non le pratica e, a giudicare dalle prime scene, proprio non sa dove siano di casa) che tuttavia si guadagna una sua dignità in virtù di una fattura molto più che decente.

È evidente da subito la semplicità della scrittura che lavora sull’opposizione tra individuo e società attorno a lui in modi pedissequi e formulaici (dopo “io mi prenderò cura di te” detto al figlio parte Alleluja). Non c’è quella capacità di variare il necessario per avere una personalità autonoma, ma il classico è obiettivamente rimesso in scena per l’ennesima volta senza difetti. E anche il fatto che il film sembri fuggire via dal dover filmare il combattimento, confondendo e nascondendosi per non mettere in mostra la sua inadeguatezza poi viene contraddetto in un lungo incontro finale (come poteva non esserci l’incontro finale in cui si decide la sorte umana e morale, in cui tutta la fatica arriva al pettine?), ripreso e soprattutto coreografato e interpretato benissimo.

La missione di un film come Bruised è tutta lì, nel centrare una forma di soddisfazione peculiare, nel mettere in scena l’idea che l’etica del lavoro e della dedizione sono una forma di purificazione se non proprio di espiazione, che consente di accedere ad una vita migliore. Che piegare il corpo è una maniera di mostrare una volontà di ferro, che poi è ciò che consente di cambiare passo nel resto della vita.
E se alle volte per far accadere quel che sa di dover far accadere Halle Berry non esita a prendere la via più breve con pigrizia, è pure vero che poi nel lungo finale crea una grande narrazione in un incontro bello, grande e pieno di soddisfazione in cui nulla è repentino e tutto è curato.

Infine una conclusione non all’altezza dei suoi modelli dimostrerà solo che la formula di Rocky è così perfetta che basta variare di pochissimo e già non funziona più allo stesso modo.

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