Brother and Sister, la recensione | Cannes 75
Funestato da una prospettiva snob e un'ambizione difficile, Brother and Sister chiede al pubblico troppa indulgenza per personaggi insopportabili
Non è da tutti riuscire a tenere duro lungo Brother and Sister. Tenere duro e non odiare visceralmente i personaggi verso i quali invece il film è indulgente ai massimi livelli e per i quali chiede di essere indulgente anche al pubblico. Bisogna perdonargli tutto, soprattutto l’odio irragionevole che i due protagonisti provano l’uno per l’altro e in virtù del quale non fanno che parlare di sé e far parlare di sé chi è intorno a loro. Un protagonismo difficile da sostenere, un vittimismo fastidioso e tutto, come detto, appositamente motivato da nulla, da paturnie personali e vanità da artista.
Il risultato però è un’opera sbilanciata, inutilmente intensa e troppo audace nel flirtare con il fastidio fino a che diventa non più un film ma il fantasma di un film, cioè il ricordo di quel che è in una forma vuota e inconsistente che si manifesta ma non può fare niente. Colpa anche molto della scelta di prendere Melvil Poupaud per uno dei due ruoli principali. Se infatti Marion Cotillard riesce almeno ad essere interessante e misteriosa, quindi ad incuriosire, lui non lavora proprio a quel livello, è più diretto e sempliciotto, quindi un disastro, rimane solo un carattere insopportabile. Gli tocca per giunta il personaggio più difficile visto che, in questo circolo d’odio iperbolico, avere ragione (come ha il fratello) è la cosa meno sostenibile di tutte, non potendosi nemmeno rifugiare nel mistero dell’irrazionale.