Brother and Sister, la recensione | Cannes 75

Funestato da una prospettiva snob e un'ambizione difficile, Brother and Sister chiede al pubblico troppa indulgenza per personaggi insopportabili

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Brother And Sister, in concorso a Cannes

Non è da tutti riuscire a tenere duro lungo Brother and Sister. Tenere duro e non odiare visceralmente i personaggi verso i quali invece il film è indulgente ai massimi livelli e per i quali chiede di essere indulgente anche al pubblico. Bisogna perdonargli tutto, soprattutto l’odio irragionevole che i due protagonisti provano l’uno per l’altro e in virtù del quale non fanno che parlare di sé e far parlare di sé chi è intorno a loro. Un protagonismo difficile da sostenere, un vittimismo fastidioso e tutto, come detto, appositamente motivato da nulla, da paturnie personali e vanità da artista.

Il fratello e la sorella del titolo infatti sono entrambi artisti, una attrice l’altro poeta (lo so, l’avevo detto che è dura da sostenere) e proprio il successo del secondo ha causato l’odio della prima, che non lo vuole né vedere né sentire, che sanguina se costretta a parlare di lui o peggio sviene come una dama del ‘700. Il punto è che Desplechin vuole indagare il legame fortissimo tra fratello e sorella non tramite l’amore, come si fa di solito, ma tramite l’opposto. E a questo odio riserva il trattamento dell’amore, cioè ci si dedica, lo ribadisce, lo esplora e lo seziona, passandoci sopra di continuo e magnificandolo per capire come influisce nel rapporto con gli altri e muta il mondo intorno a noi.

Il risultato però è un’opera sbilanciata, inutilmente intensa e troppo audace nel flirtare con il fastidio fino a che diventa non più un film ma il fantasma di un film, cioè il ricordo di quel che è in una forma vuota e inconsistente che si manifesta ma non può fare niente. Colpa anche molto della scelta di prendere Melvil Poupaud per uno dei due ruoli principali. Se infatti Marion Cotillard riesce almeno ad essere interessante e misteriosa, quindi ad incuriosire, lui non lavora proprio a quel livello, è più diretto e sempliciotto, quindi un disastro, rimane solo un carattere insopportabile. Gli tocca per giunta il personaggio più difficile visto che, in questo circolo d’odio iperbolico, avere ragione (come ha il fratello) è la cosa meno sostenibile di tutte, non potendosi nemmeno rifugiare nel mistero dell’irrazionale.

Infine un set di frasi e voci off che pontificano su vita, amore e arte, un finale nell’Africa selvaggia (proprio nelle capanne!) a trovare se stessi struggendosi e il continuo ostentare il proprio dolore davanti a tutti con un protagonismo irritante aiutano Brother and Sister a fare di tutto per non farsi seguire. E dire che poi ogni tanto qualche colpo da Desplechin (che sa essere autore magnifico) scappa! Come quando i due si incontrano dopo tutto il terribile gettarsi odio addosso e si pacificano in un attimo, anche lì, senza ragioni. Una non-spiegazione stranamente convincente e una resa incondizionata ma (almeno quella) convincente al dominio irrazionale dei sentimenti familiari.

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