Bros, la recensione

Dentro ad una commedia romantica divertente e commerciale c'è un film arrabbiato in cui essere rappresentati per bene equivale ad esistere

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Bros, la commedia di Billy Eichner e Nicolas Stoller presentata alla Festa del cinema di Roma

Il cinema com’è fa schifo e va cambiato. Ogni film che inizi così (mirabolante come lo faceva Kiril Serebrennikov riguardo il cinema russo in Playing The Victim, ma era anche il mantra dei primi film di Nanni Moretti) è un segno di vitalità del cinema perché afferma che esiste qualcuno che non solo vuole cambiare tutto ma anche scuotere lo spettatore fino a che questa assenza di cambiamento non inizia a notarla. Lo fa Bros, sempre all’inizio, con una dichiarazione d’intenti ben poco mascherata: il protagonista apre questa commedia romantica gay parlando al suo pubblico di come le commedie romantiche gay siano scritte e girate come quelle etero, e quindi siano sbagliate, pigre e al servizio dei pregiudizi del pubblico. Sono passati pochi minuti e già è impossibile guardare qualsiasi altro film a tematica gay come prima. Con questa dichiarazione d’intenti Bros si costringe quindi a non commettere tutti gli errori che ha appena elencato e professa un impegno ad essere diverso che in sé è già l’high concept migliore possibile.

Il film che seguirà dimostrerà non solo con le molte parole dei molti dialoghi come mai i film a tematica gay più noti, premiati e guardati di Hollywood non vadano bene e siano ridicoli, ma farà reale attivismo filmico dimostrando con i fatti, con la propria scrittura e il proprio svolgimento, che un altro mondo del cinema è possibile. E, cosa ancora più difficile, lo farà rispettando tutte le regole. Bros non è una rom com arzigogolata o un'operazione indie da cinema scapigliato pieno di innovazioni formali e audacia, ma un atto di ribellione adulto e maturo, che sa giocare pienamente dentro le regole hollywoodiane e scardinare quel che serve senza toccare ciò che può rimanere. Per infiammare non tira una molotov ma fa un discorso in giacca e cravatta nei salotti buoni. Operazione di chirurgia precisa con il third act break up al suo posto (cioè il momento in cui la coppia sembra andare bene e un’incomprensione rompe l’idillio, simbolo di tutte le convenzioni delle commedie romantiche) e tutto quello che ne consegue a partire dal più classico dei protagonisti che non crede nell’amore e avrà tempo fino alla fine del film per ricredersi.

I toni sono quelli alleniani, newyorkesi frenetici e verbosi (ma che diverimento!), i dialoghi sono affilatissimi (quant’era che non si vedeva una commedia romantica che faccia ridere per davvero?) e la satira dell’industria dello spettacolo è una maniera acuta per spiegare che esiste un’equivalenza tra come i gay sono rappresentati e come la società li vede in quelle rappresentazioni e quindi come ognuno si formi un’idea su quella comunità attraverso la loro messa in scena erronea. Fare film e fare serie è politica. 

Billy Eichner (sceneggiatore e protagonista, vera anima del progetto) e Nicholas Stoller (sceneggiatore e regista di gran mano e raro equilibrio), sono la cosa più vicina a Spike Lee che si sia vista fino ad oggi nel mondo del cinema LGBTQI+, sanno cioè rappresentare la propria comunità con un’autonomia che non ha paura di tagliare fuori i bianchi (cioè gli etero) per affermare il proprio punto politico: cioè che il mondo che definiamo riduttivamente gay non è un ghetto ma universo contraddistinto non dalle preferenze sessuali (in realtà molto diverse tra bisessuali, trans, lesbiche ecc. ecc.) quanto da una cultura comune da cui, come sempre, discendono tic, atteggiamenti e comportamenti specifici. Gli stessi che Bros si diverte molto a prendere in giro (e forse sono le battute più divertenti). 

Non c’è da lasciarsi trarre in inganno dal tono leggero, commerciale e divertito. Bros è un film arrabbiato e carico di grinta che, proprio come Spike Lee, non ha paura di rappresentare il conflitto e l’opposizione alla cultura dominante (quella etero), non ha paura di criticare e al tempo stesso appoggiare un protagonista che questa opposizione la vive con forza, la manifesta e non la sa sfuggire anche là dove sarebbe richiesto, che è pronto a mandare a monte tutto pur di non stare zitto. Da questi contrasti non emerge solo l’orgoglio e la profondità di una comunità che raramente è raccontata con autenticità ma un desiderio profondo di rappresentazione e il fatto che questa, al cinema, è indistinguibile dall’autodeterminazione, anzi ancora di più, dal vero concetto di esistenza.

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