Broken City, la recensione

Il thriller che riporta Mark Wahlberg ai suoi personaggi classici e si può fregiare di Russel Crowe nel ruolo di villain spreca entrambe le risorse...

Critico e giornalista cinematografico


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Poliziesco che si fregia di essere vecchia scuola con tutto l'armamentario possibile di vita dura, whisky e botte tanto prese quanto date. Storie di poliziotti che camminano sul confine tra legale e illegale, cercando di salvare la propria anima, in cerca di una disperata redenzione ma irrimediabilmente presi in una rete più grande di loro nella quale costituiscono la carta impazzita.

Diretto dal regista di Codice: Genesi e scritto da un esordiente, Broken City però più che rimandare al miglior thriller poliziesco guarda ai peggiori episodi delle serie tv anni '80. Ne ha i semplicismi, la sbrigativa voglia di arrivare alla conclusione, personaggi macchiettistici e lo svolgimento convenzionale.

Un poliziotto appena scagionato da un'accusa di omicidio riprende la sua carriera da detective privato e viene ingaggiato dal sindaco (a poco dal giorno delle votazioni) per indagare sull'infedeltà di sua moglie. Quello che scoprirà sarà ovviamente molto di più.

La trama si muove tra i classici elementi del genere ma il colpo che va a vuoto è quello destinato al protagonista. Il poliziotto di Mark Wahlberg non ha nè lo charme della mente ineffabile indurita dalla vita nè il fascino del perdente alla sua ultima occasione. Sconfitto più volte su vari piani (vita privata, vita professionale) l'impressione è sempre di guardare un bullo della scuola cresciuto, un po' cretino ma mai simpatico per questo. Diventa la parte positiva della storia in maniera credibile solo quando quella indubitabilmente negativa (interpretata da Russel Crowe) gli ringhia addosso, di fatto creando per negazione il proprio opposto.

E proprio nel personaggio di Russel Crowe il film, che Allen Hughes dirige con poca verve, sembra trovare sprazzi di plausibilità e atmosfera. Più negli interni lussuosi dove si consumano ricatti che negli esterni disperati in cui ci si minaccia con la pistola. Nonostante una serie di idee non banali e delle possibilità di sviluppo interessanti, Broken City si perde nei dettagli e nelle atmosfere, nei dialoghi e nelle motivazioni dei personaggi. Vorrebbe essere una piccola chicca di serie B, un film dalle atmosfere cupe che si sporchi le mani con la corruzione e lo schifo che domina il mondo, con il coraggio di non offrire facili vie d'uscite, ma come un whisky di pessima marca, il colore non corrisponde al sapore e più si va avanti più vien voglia di smettere, invece che riceverne una botta di piacere proporzionale allo stordimento.

Risibile, infine, il teorico atto d'accusa verso le istituzioni e la corruzione che regna nelle amministrazioni cittadine.

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