Broadchurch 3x06: la recensione

Il sesto e terzultimo episodio di Broadchurch si chiude con uno sconvolgente cliffhanger, che lascia incerto il destino di uno dei protagonisti

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Spoiler Alert
A ogni serie, il proprio cliffhanger. Sebbene scevro da ritmi adrenalinici, il finale del sesto episodio della terza stagione di Broadchurch lascia lo spettatore col fiato mozzato, sospeso come Mark Latimer sulle acque oscure del mare notturno. Le indagini attorno allo stupro di Trish proseguono, ma in questa puntata è il dramma dell'uomo a calamitare l'attenzione del pubblico, costruendo un monumento memorabile alla mancata resilienza, all'incapacità di elaborare a fondo il peggiore dei lutti. Sin dalle prime immagini dell'episodio, che ci mostrano uno spettro di Danny Latimer cresciuto e, per questo, ancor più straziante nelle forme adolescenziali che la prematura morte non gli ha mai consentito di assumere, il focus del racconto sembra essere proprio Mark, a dispetto del fatto che manchino solo due ore alla conclusione del giallo che ha fatto da asse portante a questa terza stagione.

Ma, da sempre, Broadchurch ci ha abituati a una gestione del racconto diversa, a una trama fatta di situazioni sentimentali prima ancora che di eventi; la storia di Mark è, in tal senso, una tra tante, il ritratto di una solitudine inserita in un coro di voci che cantano ognuna la propria canzone a sé. Come Mark, così anche Nira non supera il trauma che l'ha segnata, rifiutandosi di aiutare la polizia nella vana speranza di poter seppellire dentro di sé il ricordo doloroso della violenza subita. Ma non c'è pozzo abbastanza profondo da concedere un balsamico oblio a questi personaggi dilaniati dall'interno, che continuano a corrodersi e, inevitabilmente, a corrodere le persone a loro più vicine.

Rivedere Joe Miller non alimenta in noi il fuoco dell'odio per l'assassinio di Danny, così come non conferisce a Mark il coraggio - o l'incoscienza - per perpetrare una vendetta che, ormai l'ha capito, non riempirebbe in alcun modo il vuoto che la morte del suo bambino ha lasciato. La sua telefonata alla figlia Chloe ha il sapore inequivocabile di un commiato, ma la speranza che l'uomo sia sopravvissuto al suo abbandono tra i flutti marini è ancora viva in noi spettatori. Merita un encomio speciale la straordinaria prova offerta da Andrew Buchan, che delinea con sensibilità esperta la fragilità di un padre diviso a metà tra l'incapacità di giustiziare o di perdonare (e perdonarsi).

Prosegue, intanto, la ricerca del colpevole dello stupro di Trish, e nell'occhio del ciclone investigativo finisce Ed Burnett; inchiodato da una serie di prove piuttosto inquietanti, l'uomo si difende confessando il proprio amore per la propria impiegata. Desta inoltre lo sgomento di Miller e Hardy la scoperta che Ed sia anche il padre del detective Harford, protagonista di una delle scene più intense che il talento di David Tennant ci abbia regalato in questa stagione, in cui il capo inveisce con veemenza contro la giovane agente, rimproverandola di aver taciuto il proprio legame di parentela, compromettendo con il proprio obnubilato senso critico l'indagine.

A due episodi dalla fine dello show, il mistero è ancora ben lungi da una risoluzione; la scoperta del coinvolgimento di Clive Lucas nel traffico di pornografia di Tom Miller getta un'ulteriore ombra su un personaggio già sgradevole per molti versi, ma anche l'ex marito Ian non manca di destare i nostri sospetti nel suo ossessivo tentativo di cancellazione dei dati dal computer portatile. Cosa si celi all'interno del dispositivo, è materia che verrà indubbiamente svelata nel prossimo episodio; per ora, possiamo solo aspettare un'altra settimana, appesi al dubbio sull'identità del colpevole, ancorati a terra dai dolori dei protagonisti che riflettono, nella loro varietà, quelli dell'intero genere umano.

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