"La bellezza salverà il mondo". Così scrisse Fëdor Dostoevskij nel suo capolavoro
L'Idiota, e se forse sussiste qualche dubbio in merito alla possibilità di salvare l'intero pianeta con il potere dell'estetica, il quinto episodio di
Broadchurch sembra confermare la validità di questa teoria, almeno quando rapportata alle serie tv. Dopo una quarta puntata deludente sotto molti punti di vista, il thriller drammatico di
Chris Chibnall riprende le redini della narrazione e, seppur continuando a marciare in una direzione che al pubblico e a chi scrive sembra tuttora piuttosto nebbiosa, si fa luce con la fiaccola della ricerca visiva. Ma andiamo per gradi.
Ellie Miller (Olivia Colman), reduce da un incontro non certo rincuorante col figlio Tom (Adam Wilson), si getta anima e corpo nella risoluzione del caso Sandbrook che ancora angustia, con fantasmi piuttosto concreti, il travagliato detective Alec Hardy (David Tennant). I due si fanno strada tra continui cambi di testimonianza e ritrattazioni, fino a ritrovarsi con più dubbi che risposte, mentre i sospettati si moltiplicano. Dacché la responsabilità della morte delle due cugine Pippa e Lisa sembrava inizialmente ricadere sul solo vicino di casa Lee Ashworth (James D'Arcy), allo stato attuale delle cose tutti sembrano avere qualcosa da nascondere: da Claire (Eve Myles), moglie di Lee, che continua a cambiare versione sullo svolgimento dei fatti durante la notte del delitto, a Ricky Gillespie (Shaun Dooley), padre della defunta Pippa, il cui alibi vacilla a causa di una rivelazione fatta dalla moglie Cate (Amanda Drew), a sua volta rivelatasi presunta amante di Ashworth. I due detective si lambiccano il cervello, in particolare Ellie, che arriva addirittura a ipotizzare che Lisa - di cui non è mai stato rinvenuto il corpo - sia in realtà colpevole della morte della cuginetta e sia poi fuggita in Francia in preda al panico. Ipotesi che sembra crollare nel momento in cui gli indizi relativi alla localizzazione del cellulare di Lisa portano Ellie e Alec nei pressi di una fornace celata in una vecchia azienda di prodotti agricoli in disuso.
Se la verità sembra ancora difficile da intuire per il caso Sandbrook, la situazione non è certo più rosea sul caso Danny Latimer. Dopo la scioccante dichiarazione in chiusura della scorsa puntata, Susan Wright (
Pauline Quirk) conferma la sua versione dei fatti: la notte dell'assassinio di Danny, non vide Joe Miller adagiare il corpo del bambino sulla spiaggia illuminata dalla luce lunare, bensì il proprio stesso figlio, Nige (Joe Sims). Dice il vero o si tratta di una semplice ritorsione contro quel figlio che continua a rifiutarla, anche messo di fronte all'imminente morte per cancro della propria madre? La testimonianza resa da Susan, sottolinea l'avvocato dell'accusa Jocelyn Knight (una meravigliosa
Charlotte Rampling) - di cui iniziamo a intuire i segreti drammi sentimentali e salutari - si ritorce contro la difesa, risultando assai poco attendibile. E per una volta, la famiglia Latimer può tirare un sospiro di sollievo, ma Jocelyn sa bene che la quiete durerà poco. Come confida a Mark Latimer (
Andrew Buchan), il rischio che il padre del piccolo Danny venga trascinato nel fango e accusato addirittura di aver ucciso il proprio figlio non è da trascurare. Si prospettano tempi sempre più duri per Mark, che cerca di distrarsi come può prendendosi cura della figlioletta neonata, Elizabeth.
Una distrazione - o forse una redenzione - la cerca anche la moglie Beth (Jodie Whittaker), decisa a creare una fondazione a nome del piccolo Danny, volta al recupero dei pedofili. Per quanto la donna si sforzi di mantenere i nervi salvi, il confronto con gli ex criminali la porta a fuggire a gambe levate dalla chiesa del reverendo Coates (Arthur Darvill), che a sua volta confessa alla compagna Becca (Simone McAullay) di aver fatto visita all'accusato Joe Miller in carcere.
Questo il resoconto dei fatti; ma, come anticipato, la puntata fa forza non tanto sulle pur buone trovate drammatiche, quanto su un impianto visivo d'impatto straordinario, in grado di competere non solo con le migliori serie in circolazione, ma anche con prodotti cinematografici di primo livello. Difficile stabilire se il merito maggiore vada al regista
Jonathan Teplitzky o al direttore della fotografia
John Conroy, ma le immagini di questo episodio sembrano fare a gara l'una con l'altra per la supremazia artistica: i movimenti di macchina sono arditi e fluidi, la staticità viene azzerata e la profondità di campo è ridotta all'osso. Il paesaggio inghiotte i personaggi - meravigliosa l'immagine finale del dialogo tra Becca e il reverendo Coates, con la messa a fuoco concentrata sui ciottoli della spiaggia - e la luce si fa narrazione - accecante, quasi divina la luminosità dell'incontro tra l'avvocato Sharon Bishop (
Marianne Jean-Baptiste) e il figlio in carcere. Nulla è lasciato al caso, ogni inquadratura racconta di per sé una storia che prescinde da quella scritta nelle pagine della sceneggiatura. E l'immagine forse più emblematica di questo racconto parallelo è quella che vede le due rivali Sharon e Jocelyn - tra cui intuiamo esserci, o esserci stato, un legame più stretto di quanto non si sia finora detto - riflesse sulla terrazza del tribunale, in un gioco geometrico che ricalca quasi un'impianto di scacchiera, a sottolineare che la partita tra l'alfiere e il cavallo, gemme di questa stagione, è ancora aperta.