Broadchurch 2x03 - La recensione

Prosegue la tragica odissea dei protagonisti di Broadchurch, in una puntata che ne stringe le vite in una morsa sempre più impietosa

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Spoiler Alert
"È un incubo che non finisce." Così Ellie Miller (Olivia Colman) descrive la propria situazione a Claire Ashworth (Eve Myles) durante una bevuta al pub, in un momento di sconsolata schiettezza. Potremmo ergere la battuta a tagline di questi primi tre episodi della seconda stagione di Broadchurch, che sembrano culminare nella puntata più nervosa e sovversiva finora proposta dall'avvincente thriller drammatico firmato da Chris Chibnall. Una puntata in cui scopriamo tanto - soprattutto sulle vite personali di Knight (Charlotte Rampling) e Bishop (Marianne Jean-Baptiste), i due avvocati coinvolti nel processo Miller - e intuiamo ancora di più; una puntata, infine, che porta il meccanismo delle strategie legali a un nuovo livello, esercitando un'inedita pressione emotiva sul pubblico.

L'episodio riprende le fila dalle contrazioni di Beth Latimer (Jodie Whittaker), colpevoli di aver distratto Ellie Miller e, quindi di aver consentito a Lee Ashworth (James D'Arcy) di prendere la moglie Claire e fuggire dall'appartamento di Ellie stessa, dove stava avvenendo un incontro registrato da telecamere nascoste, ovviamente all'insaputa di Lee. In realtà, il cliffhanger della seconda puntata trova rapida risoluzione nel momento in cui il detective Alec Hardy rintraccia Lee e Claire, tornati al cottage dove quest'ultima alloggiava. La donna è incolume, ma la tregua tra Ashworth e Hardy sembra sempre più traballante. Ma abbiamo ormai imparato a conoscere le svolte di Broadchurch, e se c'è una lezione che questa grande serie - e, in particolare, questa seconda stagione - sta insegnando è il valore del relativismo. A ben guardare, gli unici personaggi di cui ci possiamo fidare sono Alec, Ellie e Beth: al di fuori di essi, chiunque potrebbe nascondere segreti indicibili, come dichiarato in tono quasi profetico da Joe Miller (Matthew Gravelle) nel primo episodio.

E la colonna vertebrale dell'episodio sembra proprio essere la distorsione (volontaria e non) della verità, distorsione che irrompe con violenza nella vita dei protagonisti: Alec, accusato falsamente da Lee di averlo aggredito fisicamente, è costretto a scusarsi. La menzogna gli impone un'umiliazione, ma a questo segue un twist: quella notte, Lee si presenta a casa di Hardy, con un ricco bagaglio di documenti e testimonianze raccolte, fingendosi il detective, per poter ripulire quel suo nome insozzato. Bugie, appropriazione d'identità altrui, tutto nel nome di una verità più alta, una verità che finora Alec sembra aver voluto ignorare: una verità che potrebbe cambiare le carte in tavola e ridimensionare molto il coinvolgimento di Claire nel caso Sandbrook. È proprio Claire, infatti, a destare qualche sospetto in Ellie, dopo una notte brava a base di alcol e sesso occasionale con due sconosciuti. La poliziotta confida ad Alec la propria perplessità nei confronti della testimone sotto protezione, per sentirsi rispondere che sì, anche lui l'ha sempre ritenuta una sospettata, e la protezione è stata solo una facciata per poterla osservare da vicino. Nemmeno il tempo di arrabbiarsi per essere stata ancora una volta tenuta all'oscuro delle reali intenzioni del detective, ed Ellie viene chiamata al banco dei testimoni in tribunale.

In un crescendo di riprovevole capziosità, vediamo quindi Sharon Bishop mettere sotto torchio la già di per sé stressata Ellie, al fine di convincere la giuria dell'esistenza di un diabolico piano architettato dall'agente: incastrare il marito Joe per l'omicidio di Danny Latimer, al fine di poter ricominciare indisturbata una nuova vita col proprio amante, nientemeno che il detective Hardy. Lo sguardo attonito di Ellie e Alec di fronte alla minuziosa, orribile costruzione di una menzogna basata su orari e coincidenze innocenti diventa specchio dell'indignazione dello spettatore, che sperava forse in cuor suo che si prospettassero tempi migliori per la coppia di detective più sventurati della tv inglese. E non possiamo non guardare con occhio cinico alla nascita di Elizabeth, figlia di Beth e Mark Latimer, una bambina venuta al mondo in un contesto ombroso e indefinito, in cui colpevoli e innocenti si scambiano di ruolo giorno dopo giorno. Aprire gli occhi su un contesto del genere non è confortante, non c'è dubbio: e fa pensare il fatto che, tra le prime parole che la piccola ode, ci sono le rabbiose frasi lanciate da sua madre a Ellie, colpevole di non aver saputo - o voluto - vedere la relazione tra il marito Joe e il piccolo Danny, sfociata poi nell'omicidio di quest'ultimo. Dopo Ellie e Alec, ecco un'altra vittima e carnefice della manipolazione della verità. Ma qual è la verità? Giunti a metà di una stagione che sta sovvertendo punto per punto la precedente, possiamo dire con franchezza di non saperlo. E, parafrasando una battuta tratta da Cloud Atlas, concludere che "la verità è singolare, le sue versioni sono non verità."

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