Broad City (seconda stagione): la recensione

La recensione di Broad City, comedy prodotta da Amy Poehler

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Sembra sia impossibile parlare di Broad City senza partire da un paragone con Girls. Stessa ambientazione, stesse tematiche, stesse protagoniste. Poi ci sono le differenze, certo, che sono anche molte di più dei punti in comune, ma intanto la serie HBO va citata, tanto per avere un punto d'appoggio, per non partire alla cieca nel parlare di questo show di Comedy Central tanto diverso dalle comedy in circolazione. Non ci esimiamo da questo confronto, ma diciamo che in realtà il punto in comune meno citato è forse anche il più importante: la capacità di credere nei giovani talenti, da parte di personalità già affermate, e di concedere loro spazi di manovra e libertà creative che in altre realtà sarebbero impensabili. Judd Apatow lo fece con Lena Dunham, Amy Poehler lo ha fatto con Ilana Glazer e Abbi Jacobson.

Ilana Wexler e Abbi Abrams sono due giovani e spiantate ragazze che vivono a New York. Le loro giornate si dividono tra esperienze lavorative insoddisfacenti, malpagate, mal eseguite, piccoli episodi di vita quotidiana, porte sbattute in faccia al o dal frenetico, egoista, surreale, mediocre mondo che le circonda. Senza intrecci, senza morale, a volte senza logica. Intorno a loro, e di riflesso anche in loro stesse, una serie di bizzarri personaggi che incarnano l'ossessione per il corpo, la fuga dalle responsabilità, il lassismo sul lavoro, e tutta una serie di piccole grandi paranoie nelle quali chiunque si può ritrovare ora come spettatore ora come protagonista.

Le somiglianze con Girls sono evidenti e non vale la pena soffermarsi. Molto più interessanti invece sono le differenze. Di genere innanzitutto, perché Broad City è una comedy pura. Nasce come web series nel lontano 2009 e sbarca, sotto lo sguardo del produttore esecutivo Amy Poehler, su Comedy Central nel 2014. Due stagioni da dieci episodi ciascuna e tanta voglia di sperimentare in libertà, senza logica, non sempre centrando l'obiettivo, ma riuscendo a distinguersi. Qui non c'è quella venatura drammatica – appunto, da dramedy – che corre lungo la serie della Dunham che vorrebbe, o forse no, apparire come lo specchio meno opaco del personaggio che interpreta, e farsi portavoce di una generazione, dei suoi problemi, dei suoi difetti, raccontandone la fase di maturità.

Ilana e Abbi, con le loro risate sguaiate, la loro volgarità, i loro mediocri non-tentativi di emergere rimanendo aggrappate con le unghie e con i denti ad un'esistenza priva di responsabilità, sono personaggi né migliori né peggiori, ma più veri e certamente meno illusi di Hannah delle sue amiche. E tutto questo stesso parlare di tematiche sembra fuori luogo per una serie che, almeno nel suo primo anno, si rifiutava quasi di costruire trame lungo l'arco degli episodi che, tradendo la loro formula originale sul web, finivano per essere aggregati surreali di scene divertenti. Nel suo secondo anno Ilana e Abbi – in veste non di personaggi, ma di creatrici – hanno trovato una mano più sicura e uno sguardo più aperto sulla vita newyorkese. Le due ragazze rimangono al centro ma, come nell'ultimo episodio della web series in cui si citava il cinema di Spike Lee, è la città ad essere protagonista. In metro, in palestra, al parco, al lavoro, c'è sempre una realtà da prendere di mira.

Broad City colpisce perché è una comedy diversa. Con il suo umorismo caustico, la sua volgarità che sfocia nel disgusto, con le nudità e con il totale disinteresse verso la classica morale o insegnamento conclusivo. Si arriva sempre al limite del rigetto, ma quel limite non viene mai oltrepassato. Merito di un'alchimia perfetta tra le due protagoniste e di una scrittura che sa divertire, ma soprattutto spiazzare.

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