Britannia vol. 3: Le Aquile perdute di Roma, la recensione

Spogliata della sua componente orrorifica, Britannia si rivela una serie debole e priva di spunti d'interesse

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Britannia: Lost Eagles of Rome #1, anteprima 01

Nella storia romana antica, l'aquila rappresentava il simbolo del potere di Roma, dell'imperatore e dell'impero, e accompagnava le legioni in ogni parte del mondo durante le campagne di guerra.

Durante l’ennesima spedizione in terra germanica, ben tre stendardi vengono sottratti alle truppe guidate dal generale Quintilio Verre, infliggendo così all’immagine di Nerone un colpo durissimo: le prime sommosse iniziano a scoppiare sia nelle strade della capitale, sia nella provincia dell’Impero. Un solo uomo può aiutare l'imperatore a risollevarsi da questa situazione: Antonio Axia, migliore deduttore in circolazione e protagonista della serie Valiant Britannia.

Nel terzo volume pubblicato da Star Comics, intitolato Le Aquile perdute di Roma, il Nostro è impegnato in una missione quanto mai delicata per le sorti dell’impero; per l’occasione, è affiancato da Achillia, campionessa di spada dell’arena gladiatoria, impegnata nella sua ostinata ricerca della libertà. A firmare la sceneggiatura di questo arco narrativo troviamo ancora una volta Peter Milligan (Legion), coadiuvato al tavolo da disegno dalla new entry Robert Gill (Iceman).

Tra i volumi fin qui proposti dalla casa editrice perugina, il terzo è senza dubbio quello meno riuscito: i quattro capitoli di cui si compone lo storyarc presentano una vicenda meno originale delle precedenti, tanto che già a metà lettura la risoluzione risulta telefonata. Le abilità logico-deduttive di Antonio giocano ancora un ruolo da protagoniste assolute, ma il tutto risulta fin troppo blando e privo di mordente, tanto che risultano depotenziate. La stessa caratterizzazione del protagonista appare debole, nonostante i risvolti personali della vicenda: del personaggio che abbiamo apprezzato nelle precedenti avventure, un po’ Sherlock Holmes e un po’ Dylan Dog, resta ben poco e appare spesso in balia degli eventi, senza mai riuscire a incidere veramente.

"I quattro capitoli di cui si compone lo storyarc presentano una vicenda meno originale delle precedenti, tanto che già a metà lettura la risoluzione risulta telefonata."A questa evidente perdita di ispirazione si aggiunge la totale scomparsa di quella componente orrorifica che aveva stupito nelle prime storie, regalandoci sequenze decisamente accattivanti. A differenza di Morituri Te Salutant, tra queste pagine manca inoltre il benché minimo spunto legato alla quotidianità dell'epoca in cui è ambientata la serie: il cast è ridotto a poche comparse e le caratterizzazioni risultano fin troppo bidimensionali, quasi macchiettistiche nell'evidenziare vizi e virtù delle figure in scena.

I disegni di Gill sono l'ennesima componente non convincente di Le Aquile perdute di Roma. Lo stile di Juan José Ryp – erroneamente accreditato in copertina – risultava perfetto per esaltare il lavoro di Milligan, riuscendo a ricostruire abilmente gli scenari antichi e accentuando la componente horror del racconto. Gill, coadiuvato da Juan Castro e Brian Thies, è artefice di una prova anonima che a tratti appare svogliata: le sue anatomie sono abbozzate e i suoi primi piani inespressivi. Pochi i momenti davvero piacevoli, a sancire la definitiva perdita d’interesse per questa storia.

La speranza è che nel futuro prossimo Milligan ritrovi la voglia di scrivere storie degne di nota. Maltrattare in questo modo un personaggio come Antonio Axia è un vero peccato, e non serve essere un deduttore per capirlo.

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