Bright Star - la recensione

Il poeta John Keats vive una storia d'amore con Fanny Brawne, ma la sua salute cagionevole mette tutto a rischio. Dalla regista di Lezioni di piano Jane Campion, un melodramma troppo freddo per appassionare veramente...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloBright StarRegiaJane Campion
Cast
Ben Whishaw, Abbie Cornish, Kerry Fox, Paul Schneider, Edie Martin, Thomas Sangsteruscita23 aprile 2010 

Cos'è che fa funzionare un melodramma? Me lo sono chiesto il giorno in cui ho visto questo titolo e ho anche recuperato Le pagine della nostra vita. Quest'ultimo è il tipico melodrammone che la critica adora stroncare: un amore contrastato e che funziona nonostante le avversità; delle situazioni eccessive e stereotipate; un certo eccesso di melassa. Eppure, quel film per me funzionava benissimo, magari perché chi lo ha realizzato non aveva paura di rischiare il ridicolo e soprattutto perché i due protagonisti (gli ottimi Ryan Gosling e Rachel McAdams) erano avvincenti.

D'altronde, anche il maestro incontrastato del genere, Douglas Sirk, realizzava pellicole (se non l'avete viste, recuperate almeno Lo specchio della vita e Magnifica ossessione) che venivano sottovalutate per certi eccessi, almeno fino a quando registi 'seri' come Fassbinder e Von Trier non hanno iniziato a citarlo esplicitamente nelle loro opere. Fatta questa lunga premessa, capirete perché una pellicola come Bright Star non incontra particolarmente il mio favore, anche se invece a tanti critici togati che amano la freddezza in un film probabilmente piacerà.

In effetti, qui la freddezza regna suprema ed è chiaramente una precisa scelta autoriale. Decisione ovviamente rispettabile, ma che crea dei problemi evidenti. Il più evidente è che, in una storia in cui si dovrebbe sapere subito come va a finire, la tensione non può certo dipendere dalla fatidica domanda "cosa succederà?". Ecco perché è importante che la vicenda e il modo di raccontarla conquisti completamente, magari puntando su un esempio supremo di amour fou, come il capolavoro di François Truffaur Adele H.

Purtroppo, la prima parte dà vita a un preludio di cinquanta minuti non propriamente ben sfruttati, fatti di tantissima camera fissa, molta rigidità e poco ardore (e vabbeh che siamo nell'ottocento, ma non esageriamo). A un tratto, però, il film si ravviva completamente, in coincidenza con l'inizio della storia sentimentale. Vediamo così un gioco d'amore delizioso tra i due innamorati, per non parlare di una magnifica sequenza visionaria in un prato, che per un attimo ci riporta alla regista di Un angelo alla mia tavola e Lezioni di piano che tanto avevamo amato.

Purtroppo, è una parentesi passeggera, tanto che la restante ora di pellicola va avanti tra piccoli contrasti (mai degli eccessi forti, né da una parte né dall'altra) e poesie che vengono declamate quasi più per senso di dovere che per reali esigenze cinematografiche. Per fortuna, almeno i due attori protagonisti se la cavano bene, in particolare la tanto apprezzata Abbie Cornish (notevole). Spiace solo non veder sfruttato al massimo Ben Whishaw, ormai uno degli attori europei più interessanti in circolazione.

Alla fine, ti viene un dubbio. Questa storia avrebbe potuto, in altre mani (o magari semplicemente 15 anni fa), dar vita a un capolavoro? O forse è proprio la vicenda a non essere straordinaria ed è più la curiosità di vedere la vita di una grande poeta da un angolo diverso che sembra poter funzionare?

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