Bright, la recensione
Il fantasy nel mondo di oggi. Ancora di più: il fantasy nel poliziesco di David Ayer. Bright fonda una mitologia (quasi) originale ma non gli dà personalità
Rispetto a Chronicle (il film più noto tra quelli scritti da Max Landis) si basa sulla medesima idea di adattare il succo di qualcosa di già visto ad un contesto ed una trama diverse (lì erano le dinamiche da Akira, qui è il fantastico come metafora del razzismo di District 9).
Siamo nella Los Angeles di oggi ma non del nostro mondo, bensì uno in cui orchi, fate, elfi, nani e la magia sono reali e lo sono sempre stati. Se il fantasy fosse stato davvero il nostro medioevo, come sarebbe la nostra società attuale? Non troppo diversa. Gli orchi sono gli afroamericani, ghettizzati, odiati, accusati di essere violenti, criminali e amanti del metal. Gli elfi sono l’elite ricchissima che vive in quartieri di lusso, gli umani sono quelli precisi per i quali “quando una cosa è decisa è decisa e diventa legge”. In questo scenario l’agente Will Smith non sta simpatico a nessuno, per questo a lui hanno affidato il primo agente orco di sempre, un esperimento di integrazione che la polizia odia dover fare. Lui ce la mette tutta ma per le strade il timore degli agenti è che il nuovo arrivato creda più al codice d’appartenenza degli orchi che alla legge, che stia con loro e non con gli uomini.
Va detto subito che rispetto alla Johannesburg in cui gli alieni sono confinati come migranti qui la metafora è forte solo all’inizio, soprattutto non è veramente il cuore di tutto. Bright non è un film che mira con la sua trama a smuovere un’idea nella testa dello spettatore come quello di Neill Blomkamp, è il contrario: puro escapismo che parte solo da un’idea anticonvenzionale. A David Ayer interessa altro (l'esercizio della legge da parte di uomini sporchi, come lavorare con la violenza cambi le persone, l'ordinaria banalità del rischio della vita e come la vita in strada mescoli le carte tra bene e male) ed è impeccabile nel manipolare a modo suo questa trama molto anni ‘90 che unisce città, fogne, quartieri disagiati e slang con il fantastico.
Il problema semmai è che in tutto il film non si assiste mai ad uno slancio di vera personalità. Bright fonda una mitologia (quella del fantasy nella metropoli moderna) ma non riesce a dargli quella personalità che utile a renderla memorabile e unica.
Tuttavia se si passa sopra il fatto che l’inventiva sia prossima allo zero e tutto suoni già sentito, è indubbio che ci troviamo di fronte ad una produzione fatta con la testa. Bright è piacevole, divertente, scorrevole e girato ottimamente, nonostante la determinazione a ripetere un po’ tutto il già visto citando, ammiccando, rubando e riproponendo parti di cinema fantastico degli ultimi 20 anni (con anche un tocco di Evangelion nel mezzo cadavere crocefisso di un elfo), il team messo insieme è il migliore possibile per lo sforzo richiesto e anche Will Smith e Joel Edgerton (nei panni mascherati dell’orco) sono forse la coppia più adatta che si potesse chiedere per la situazione.