Bridget Jones's Baby, la recensione
Il film più divertente e riuscito della serie di Bridget Jones è quello che più di tutti ne tradisce l'idea di fondo di critica alle gabbie sociali
Forse proprio in questo scambio di nomi e ruoli c’è il motivo per il quale, nonostante non manchi nessun personaggio classico né alcun luogo comune delle avventure di Bridget Jones, in quest’ultimo film non si respiri la medesima aria dei precedenti.
Decisamente divertente, più ritmato e inventivo di come ricordavamo essere i film passati, questo terzo episodio è però qualcosa di molto diversoEd è un peccato che questo avvenga forse nel più divertente dei tre film. Uno che nel finale, per un'ultima commozione, sfrutta anche l'eterno trucco di L'Amore in Fuga di Truffaut, cioè richiamare i ricordi del pubblico e dare l'idea di una vita passata assieme ai protagonisti attraverso dei flash dai film precedenti in cui tutti, pubblico incluso, erano più giovani. Uno che addirittura contiene un gioiello come il piccolo ruolo di Emma Thompson, forse uno dei suoi ruoli di commedia migliori. Amara, dura e cinica, la sua ginecologa ha tempi e sfumature impeccabili, degne della satira da Bridget Jones, mentre tutto intorno a lei c’è un film che, mantenendo i soliti ovvi richiami a Orgoglio e Pregiudizio, invece di attaccare il mondo tramite una protagonista disastrosa in realtà prende in giro solo i propri personaggi. È probabile che una storia di Bridget Jones a 40 anni suonati semplicemente non sia possibile, oppure che questa non possa prevedere il formarsi di una famiglia. Quella maschera del postfemminismo contemporaneo esce deformata nel momento in cui rientra nel ruolo che da sempre viene affidato alla donna. Ciò che le sue lettrici o spettatrici possono permettersi, forse a lei, in quanto ideale e non persona vera, non è consentito a meno di non perdere la propria anima.