Quel Bravo Ragazzo, la recensione

In un film avviato placidamente verso i consueti lidi del dimenticabile come Quel Bravo Ragazzo, a sorpresa Herbert Ballerina regala sprazzi di genialità comica

Critico e giornalista cinematografico


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Luigi Luciano è Herbert Ballerina. Lo era negli sketch, nelle serie tv e nel film di Maccio Capatonda; lo è ancora adesso nel primo lungometraggio di cui è protagonista (e cosceneggiatore). È Herbert Ballerina nel senso che il suo nome d’arte è un personaggio al di là delle singole incarnazioni. Più ancora di Checco Zalone o di Pieraccioni (che di film in film fanno slittare leggermente i loro personaggi tra vittima e carnefice, spaziando da arrembanti a l’ignavi), Herbert Ballerina è un metapersonaggio che diventa Franceschiello Fernandello come L’Uomo che Usciva la Gente, un passante di professione o tutto quello di cui c’è bisogno, pur rimanendo se stesso. Qui è Leone ma poco cambia se non il mondo che gli sta intorno, non più l’infame città tipica di molte produzioni Capatonda, quanto un placido paesino di provincia come comanda la commedia italiana degli ultimi anni.

Tutto ciò in Herbert Ballerina invece che essere un limite è una grandezza, e proprio Quel Bravo Ragazzo lo dimostra in maniera più evidente che mai. Questo film scalcinato sonnecchia in tutte le scene in cui manca Luigi Luciano, annoia con i siparietti tra i due scagnozzi mafiosi e fa sorridere per la maniera naive in cui cerca di tentare tensione sessuale tra i poliziotti dell’antidroga. Quando invece è presente il suo protagonista ogni scena viene ribaltata e questa che doveva essere una commedia italiana come altre trova momenti memorabili. Perché Herbert Ballerina qui crea la categoria del protagonista-spalla, sembra cioè non essere mai davvero al centro della scena ma preferisce agire di sponda, lavorare di risposte o piani d’ascolto (ce ne sono alcuni fenomenali durante l’ascolto di una favola), sempre defilato anche quando al centro dell'azione. È un carattere di supporto elevato a primo attore suo malgrado e non lo nasconde mai.

In questa storia simil-Johnny Stecchino, di uno scemo che non capisce di essersi trovato in mezzo (anzi a capo) di una pericolosa famiglia mafiosa ma continuando a dire cose che non c’entrano niente e comportandosi come fosse altrove porta gli altri a fraintendere il suo atteggiamento fino a crederlo astuto e spietato, Herbert Ballerina è una miccia che in ogni scena esplode a tradimento sorprendendo tutti con una parola, un ammonimento o un tono fuoriluogo e per questo esilarante. Non è cerebrale e rivoltoso come Zalone, né davvero surreale e grottesco come Capatonda, non è tradizionalmente scemo come i comici televisivi passati al cinema, né sofisticato o di situazione come la commedia italiana degli anni ‘60, Herbert Ballerina ha una strana forma di entusiasmo nel suo essere scemo che contagia ogni scena anche quando non fa niente, con una postura unica e un modo di recitare che non viene da nessuna scuola ma ha l’unicità delle trovate spontanee e naturali. Senza nessuna velleità intellettuale non mira a sovvertire il mondo o dire qualcosa di originale sul presente che viviamo, non è acuto, è solo efficace. Così efficace e devastante da risultare spiazzante.

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