Braindead 1x07, la recensione

Questo settimo episodio di Braindead è la prima esplicita incarnazione dell’anima didascalico-saggistica espressa dagli infiniti titoli di puntata

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Braindead porta a casa con “The Power of Euphemism: How Torture Became a Matter of Debate in American Politics” un altro episodio non inquadrabile, che segue la tendenza della serie a dimenticarsi volutamente il punto centrale per cambiare tono, o seguire intuizioni estemporanee, ignorando la dispersività che si percepisce se si guarda all’insieme. Questa sfacciataggine talvolta riesce meglio e talvolta peggio; possiamo inserire parte dello scorso episodio e questo nella prima categoria, tenendo sempre presente però che il difetto strutturale della mancanza di profondità e mordente continua a farsi sentire.

Questo settimo episodio è la prima esplicita incarnazione dell’anima didascalico-saggistica espressa dagli infiniti titoli di puntata. Si tratta infatti di una puntata in cui tutto ruota intorno ad un unico tema, quello delle misure estreme adottabili in caso di minimo sospetto di terrorismo, e in particolare quello della tortura e delle ambiguità sulla sua definizione, affrontato senza mezzi termini e da più lati diversi. Red Wheatus ha deciso di mettere fuori gioco Laurel, che fa troppe domande e sa ormai troppe cose. Ci riesce facilmente usando il sospetto di bioterrorismo dietro le teste esplose, sfruttando la connessione (o meglio la presenza) di Laurel in quasi tutti i casi.

Mentre vediamo nuovi orripilanti dettagli dello “stile di vita” degli insetti, che sono in grado di crescere all’interno del cervello, uscirne e depositare uova nei fiori di ciliegio, Red non ha scrupoli a sacrificare un povero stagista per allibire a sufficienza il capo dell’FBI Marchant, finora restio a dare ascolto agli estremismi repubblicani. Wheatus “manovra” le azioni dello stagista in modo che la sua testa esploda davanti davanti a Marchant, che, shockato, è ora più che ben disposto ad emettere un ordine di “interrogatorio” nei confronti di Laurel. Arrestata e condotta in un luogo segreto, Laurel viene innanzitutto sottoposta a un’inquietante visita medica, per stabilire letteralmente se il suo fisico può sopportare una certa quantità di dolore, e i rischi che il suo corpo ceda a botte e “immersioni controllate”, ovvero la versione edulcorata del waterboarding. Ciò che la aspetta è evidente, soprattutto perché ha modo di constatare con terrore che anche Anthony è coinvolto nell’azione nei suoi confronti. Grazie alla sua prontezza e a un cavillo burocratico, Laurel riesce comunque a guadagnare tempo, rimandando l’autorizzazione al ricorso a misure estreme alla firma dei due nuovi presidenti della Commissione Intelligence, che per ironia della sorte sono naturalmente Healy e Wheatus. Purtroppo nonostante qualche dubbio iniziale, anche Healy finisce per firmare il documento che concede l’approvazione.
Fortunatamente la preoccupazione di Rochelle, Gustav – che si accorge che il telefono di Laurel ha subito un tentativo di decriptaggio – e poi Gareth per l’assenza di Laurel al lavoro fanno sì che subito dopo Jake si attivi per scoprire l’ovvio, ovvero che è in mano all’FBI. L’unico modo che ha per dilazionare l’interrogatorio è convocare una riunione straordinaria della Commissione, per votare sull’applicazione dell’Appendice Q nel caso in questione, ovvero il codice che concede il permesso di usare “metodi di interrogatorio più pressanti”. La sequenza della riunione è una porzione didascalicamente verosimile delle minuzie terminologiche e della facilità con cui il governo degli Stati Uniti può incorrere in errori di valutazione, dovendo decidere della sorte dei sospetti in base a parole e a convinzioni altrui, e porta all’estremo (ma neanche tanto) i vizi ideologici giustizialisti che prendono facilmente piede tra gli americani.

La parte di alleggerimento a un episodio dall’argomento tanto serio è affidata a Gustav e Rochelle, che riescono a decifrare le modalità di comunicazione degli insetti da un cervello all’altro tramite l’osservazione e il marchingegno acchiappa-frequenze ideato da Gustav. I suoni sono veri e propri comandi, che se ripetuti solo in parte portano a comportamenti insensati: alla fine, durante la votazione che deciderà la sorte di Laurel, la loro scoperta sarà fondamentale per trasformare il voto in farsa, creando il caos. Dopo questo episodio, è difficile capire cos’altro ci voglia per fa sì che i (pochi) sani rimasti non comprendano la gravità della situazione; l’assenza di consequenzialità logica e l’incapacità di unire gli indizi rimangono frustranti, e anche l’ennesimo colpo di scena finale simile a tanti altri non aggiunge molto alla possibilità di una resa dei conti imminente tra lo schieramento dei “buoni” che prendono consapevolezza, e quello dei “cattivi” che sono sempre numericamente di più.

Laurel passa gran parte dell’episodio in balìa delle azioni altrui, senza tuttavia che si scateni nessun vero conflitto, grazie al last minute rescue di Gustav e Rochelle. Il suo “carceriere” è interpretato da Kurt Fuller, già ricorrente giudice in The Good Wife e volto noto di molte altre serie tv. Anthony rimane sullo sfondo, nonostante il suo personaggio sia forse il bad guy dal potenziale più tridimensionale, ambiguamente connesso ad accuse di tortura anche prima di diventare “infetto”. “The Power of Euphemism” suggerisce che Braindead avrebbe la stoffa per tirare fuori temi interessanti a supporto della parte di trama più fantasiosa, mantenendo il suo stile ibrido, invece che continuare a navigare a vista tra mille spunti diversi senza approfondirne nessuno.

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