Braindead 1x04, la recensione
La nostra recensione del quarto episodio di Braindead, la nuova serie della CBS
Due amabili vicini di casa sono “infettati” nottetempo e diventano fanatici ugualmente aggressivi di opposte fazioni: il loro “diverbio” che degenera in reciproca distruzione di automobili anticipa quello che vedremo alla fine dell’episodio, lo step successivo della bug invasion, ovvero le conseguenze di una politica dell’odio su un popolo che smette di ragionare.
L’uomo e la donna dell’inizio diventano i perfetti destinatari del modo di fare politica dei Wheatus e delle Pollack, che fa leva su una rabbia cieca e distruttiva, la cui prima manifestazione sono piogge di punti esclamativi commenti in caps lock sul web – il che ci ricorda che certe abitudini da dileggiare non sono solo prerogativa nostrana. La donna, Jules, la ritroviamo tra i leader degli One Wayers, e sembra ormai troppo tardi quando Gareth si rende conto del livello di follia raggiunto dai volenterosi e patriottici cittadini, che sul sito hanno inserito link a tutorial per la fabbricazione di bombe; d’altra parte l’uomo, Noah, si rivolge proprio a Laurel in quanto responsabile dei rapporti con gli elettori, in un’escalation di accuse assurde e appelli a rivoluzioni politiche, fino ad arrivare a seguirla e minacciarla di notte.
A margine, la vita sentimentale di Laurel sarebbe la cosa meno interessante – anche per il poco carisma di Aaron Tveit, forse unica scelta di casting poco azzeccata, inadatto a reggere la parte dell’affascinante repubblicano che fa perdere la testa a Laurel – se non fosse finalizzata all’ultimissima scena: il cerchio si stringe attorno ai “buoni”, ed era inevitabile che i bugs arrivassero sempre più vicini ai protagonisti non infetti, che peraltro dimostrano evidentemente un’eccessiva sicurezza nell’essere immuni, dato che non prendono mai precauzioni di alcun tipo. Queste imperfezioni, assieme a dettagli poco rifiniti e spiegazioni convenientemente adeguate all’azione zavorrano Braindead al livello del prodotto medio, nonostante l’idea di partenza vincente e un buon ritmo. Se la satira può giocare su stereotipi e schematizzazioni, il drama esige tridimensionalità e caratterizzazione, dunque ci si attenderebbe, almeno dai “sani”, un po’ di margine in più per conoscere i personaggi, donargli carattere; a meno che lo scopo ultimo della serie sia dimostrare l’indistinguibilità tra gli “half-brain” e gli “intelligenti”. Il finale promette il precipitare degli eventi verso uno scenario quasi distopico, che porterà ulteriore carne al fuoco da gestire ma forse movimenterà un po’ le acque.