Boy Kills World, la recensione

Dentro Boy Kills World c'è l'imitazione dell'imitazione dell'imitazione di un film che vorrebbe recuperare i B movie

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Boy Kills World, il film con Bill Skarsgård, prodotto da Sami Raimi disponibile dal 27 maggio su Prime Video

Una cosa non si può mettere in dubbio: l’impegno. Impegno di Moritz Mohr, al suo primo film, e impegno di Bill Skarsgård, che fa quasi tutte le parti d’azione e arti marziali da sé, senza controfigura (alcune con una delle più grandi autorità nel mondo: Yayan Ruhian). L'esito invece può tranquillamente essere messo in dubbio. Boy Kills World è un film derivativo, a dire poco, e che, al netto di tutto questo copiare ovunque, non riesce nemmeno a essere credibile. Ci vuole un impegno veramente grande anche da parte dello spettatore per credere che questi personaggi, così mal descritti e così poco approfonditi, provino i sentimenti che dicono di provare. Anche perché loro sono i primi a non mostrarlo!

Si tratta di un protagonista che da bambino ha visto trucidata la sua famiglia e che da quel momento si è allenato con un maestro d’arti marziali per anni, fino a diventare la versione grossa e definita di Bill Skarsgård, così da potersi vendicare dei grandi e potenti dittatori di questa città del futuro. Si tratta di un mentore con obiettivi non sempre chiari. Soprattutto si tratta di villain da operetta (Sharlto Copley e Brett Gelman) che non è chiaro se dovrebbero far ridere o cosa. Si tratta ancora di una serie di svolte, che non scriviamo qui per decenza, ma che visto come il film copi da mille fonti famosissime, non sono poi così difficili da intuire, in cui i sentimenti si ribaltano senza un vero cambio di atteggiamento. Succede di tutto, ma i personaggi rimangono uguali a loro stessi.

Certo, è chiaro che Boy Kills World il suo investimento principale lo fa sull’azione, copiando (anche qui) da Matthew Vaughn la maniera in cui adattare le idee di The Raid, e cercando di caricare il più possibile il suo film di corpi fragili (come quelli di The Boys, a cui basta pochissimo per esplodere o smembrarsi). Eccitazione da sangue e ironia, battute e paradossi. Il protagonista sordomuto vede la sorellina piccola morta accanto a lui con esiti per nulla di commedia, ma che il film evidentemente considera tali. E intanto continuano le sequenze di combattimenti, complicate e ben coreografate (specialmente quelle con Yayan Ruhian) ma tutte uguali tra loro.

Sembra di capire che ci sia, da parte del film stesso, una sorta di eccitazione per il suo futuro così carico, con costumi eccentrici (mio Dio!) e atteggiamenti sopra le righe. E allo stesso modo che ci sia un’eccitazione da videogiochi, una specie di strato che viene applicato su queste trame consuete che si rifà alla videoludica, ma più che altro a parole. Tutto, infatti, è tematizzato a picchiaduro, la lotta del mondo “vero” come quella dei videogiochi di menare. Ora: qui non siamo certo persone che si scandalizzano per un film che le prova tutte per acchiappare il proprio pubblico di riferimento, ma anche questa a suo modo è un’arte e va fatta bene, altrimenti è solo presa in giro.

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