Bound, la recensione

Quando ballo e musica diventano l’unica via di fuga: la recensione di Bound

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Bound potrebbe descriversi come una sorta di remake interattivo di Inside Out, un viaggio, lisergico e psichedelico, nell’inconscio, agitatissimo e parzialmente devastato, di una giovane donna alle prese con un momento cruciale e decisivo per il proseguo della propria vita. Si tratta di una schietta testimonianza del disagio e delle conseguenze devastanti che possono insorgere a seguito di un qualsiasi trauma, specie se vissuto e interiorizzato durante l’infanzia. Quella imbastita dai ragazzi polacchi di Plastic Studios, supportati dall’esperienza e dal know how di Santa Monica Studios, è un’esperienza straniante, controversa ed esteticamente d’impatto, che ha come cardine principale il ballo, il potere catartico di superare ogni difficoltà, ogni affanno, ogni paura trasformando note e suoni in movimento, in aggraziati e delicati passi di danza.

La giovane donna incinta che passeggia lentamente sulla spiaggia, che ha come obiettivo ultimo il raggiungimento di una casa a pochi metri da lei, si trasforma in una principessa dalle fattezze aliene, reggente, insieme alla madre, in un mondo minacciato da una misteriosa e oscura presenza. Questa fantasia ad occhi aperti, questo reame di un universo alternativo, allegoria e metafora delle difficoltà affrontate realmente dalla protagonista, si compone di migliaia di figure geometriche accatastate l’una sull’altra, un vero e proprio mare, che avanza e si ritira, che si assembla e si disgrega ad ogni passo dell’avatar.

[caption id="attachment_159636" align="aligncenter" width="508"]Bound screenshot 1 Oltre ad alcune correnti artistiche del Novecento, Bound rimanda a tante altre produzioni videoludiche, come Rez, e non, come The Neon Demon, il recente film di Nicolas Winding Refn[/caption]

C’è molto del Neoplasticismo olandese di inizio Novecento nei panorami dipinti dagli artisti polacchi, soprattutto per le campiture monocromatiche che caratterizzano buona parte dei parallelepipedi che delineano il perimetro degli scenari, nonostante la tridimensionalità di ogni ambiente finisca per rimandare soprattutto alle sculture classiche del Costruttivismo russo. Naturalmente, non appena entrano in gioco linee morbide e figure meno definite, vengono in mente i dipinti astratti di Kandinskije Pollock, ma si tratta di piccoli cenni, brevi momenti che svaniscono nell’infinità di linee nette e razionali che determinano i confini di questo strano e affascinante mondo.

Soprattutto all’inizio, la meraviglia è inevitabile. Si procede a piccoli passi, lasciandosi abbagliare dalla fantasia, dal coraggio, dalla creatività degli artisti che hanno saputo comporre scorci così unici, particolari, comunque coerenti e credibili, per quanto possibile. Lo stupore è ulteriormente potenziato dal sonoro che si compone di debolissimi effetti e di una (splendida) colonna sonora che sembra il punto d’incontro tra le sonorità elettroniche dei Daft Punk, soprattutto quelli più melodici di Tron: Legacy, e la magnificenza sci-fi espressa da Hans Zimmer in Interstellar.

Il gameplay, non si fosse ancora capito, è secondario, quasi accessorio nell’economia di Bound. Sulla carta avrete a che fare con un platform. Effettivamente si salta, effettivamente c’è qualche nemico ad ostacolarvi. Il tutto è comunque estremamente edulcorato. Nessuno potrà effettivamente ferire la protagonista, saltare nel vuoto vi farà riapparire magicamente sul ciglio del burrone che vi è costato la vita. Non c’è una vera e propria sfida. Tutto è sacrificato all’altare della pura fruizione estetica.

[caption id="attachment_159638" align="aligncenter" width="508"]Bound screenshot 2 Il photo mode è una graditissima feature che vi permetterà di immortalare le decine e decine di splendidi panorami che compongono il misterioso e affascinante mondo che dovrete esplorare.[/caption]

Non mancano, inoltre, proprio relativamente all’aspetto ludico della produzione, diverse problematiche. Il sistema di controllo, tanto per cominciare, è tutt’altro che reattivo e preciso. Il level design stesso lascia presagire la presenza di diversi sentieri, vie alternative da battere per raggiungere la stessa destinazione. Peccato che, salvo rari casi in cui vi imbatterete effettivamente in minuscole zone segrete, il più delle volte queste strade secondarie non poteranno da nessuna parte, né svilupperanno percorsi rivolti ai più esperti. Infine, si potrebbe anche biasimare la contenuta durata dell’avventura, non più di quattro ore, anche se non è certamente la prima volta che ci troviamo di fronte ad un videogioco sulla stessa falsariga. Lo stesso Abzù, apprezzatissimo su queste pagine come testimonia la nostra recensione, non spicca certo per longevità, ma ciò non gli ha impedito di stupire e appassionare il suo pubblico.

Già, Abzù. La toccante esplorazione dei fondali marini proposta da Gigant Squid riusciva ad amalgamare un art design ispiratissimo con una trama sì largamente oscura, ma comunque generosa di indizi, appigli, suggerimenti. Bound, purtroppo, non riesce con la stessa grazia ed efficacia, estremizzando l’imperscrutabilità del mondo che esplorerete sino all’eccesso, sino ad alienare, senza consolare, sino a straniare, senza rassicurare, sino ad annoiare, senza incuriosire.

"Bellissimo da vedere, non trasmette alcuna emozione, né offre una morale o affronta con un certo piglio le tematiche che pur timidamente introduce"

Non ci riferiamo specificatamente al trauma della protagonista, comprensibile, nella sua banalità, sin da subito o quasi. C’è uno scollamento insanabile tra le allegorie, tra i “nemici” che l’avatar deve affrontare e il loro corrispettivo nei flashback proposti al termine di ogni livello. Peggio ancora: il valore salvifico della danza, il potere delle coreografie in cui ci si può e ci si deve esibire, che donano alla principessa la capacità di superare certi ostacoli, non viene giustificato, né minimamente contestualizzato nemmeno nelle fasi di gioco in cui si prende il controllo della giovane donna incinta che cammina sulla spiaggia. Ci si ritrova così con un grande trauma esposto confusamente, con una catarsi, teoricamente resa possibile attraverso la danza, tutt’altro che introdotta coerentemente nell’arco narrativo. Lo stupore e il coinvolgimento emotivo, insomma, restano puramente visivi proprio per l’incapacità di tradurre il dramma della protagonista in una storia interessante, per quanto poco chiara.

[caption id="attachment_159637" align="aligncenter" width="508"]Bound screenshot 3 Una volta completato il gioco è possibile rigiocarsi ogni singolo livello tramite la modalità speedrun. Inutile sottolineare come questa modalità aggiuntiva stoni e non poco con la filosofia che, teoricamente, sottende l’intera produzione.[/caption]

Bound è un prodotto certamente indicato per gli amanti degli art design ricercati. Dal punto di vista puramente visivo, il lavoro svolto da Plastic Studios è irreprensibile, strepitoso, visionario. Il mondo immaginifico che esplorerete, surreale e onirico, è capace di regalare attimi di puro e sincero incanto. Peccato che, al di là di questo aspetto, ci troviamo di fronte ad un gioco estremamente debole. La trama si fa sopraffare dall’eccessivo e mal calibrato simbolismo. Il gameplay soffre di fin troppe problematiche per lasciarsi apprezzare estrapolandolo dal contesto (artistico) entro cui si sviluppa. Bound, in definitiva, è un esperimento riuscito solo a metà. Bellissimo da vedere, non trasmette alcuna emozione, né offre una morale o affronta con un certo piglio le tematiche che pur timidamente introduce.

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