Boss Level: la recensione

Boss Level è un film sui loop temporali che arrivava in ritardo, ma riesce comunque a farsi volere bene grazie a una buona dose di esplosioni

Condividi
Boss Level: la recensione

È tristemente ironico che un film come Boss Level (guarda il trailer), che parla di un tizio intrappolato in un loop temporale alla fine del quale inevitabilmente ci lascia le penne, sia a sua volta rimasto bloccato in un limbo creativo e distributivo così a lungo da uscire fuori tempo massimo. Concepito nel 2012, pronto dal 2017, il film che il regista Joe Carnahan descrisse come “Ricomincio da capo in versione action” ha perso il treno dei loop facendosi superare dai vari Happy Death Day, Edge of Tomorrow e La guerra di domani e pure da serie TV come Russian Doll, e per provare a farsi notare deve aggrapparsi a un altro grande gancio di marketing che sta silenziosamente tornando di moda: è un film-videogioco, come il già citato Edge of Tomorrow, come Guns Akimbo, come l’imminente Free Guy.

O almeno così vuole farci credere. L’estetica è quella, a partire dal titolo e dai titoli di testa 8-bit, e i riferimenti al mondo dei videogiochi sono tanti e spesso smaccati, a partire dal fatto che uno dei beat di trama più importanti avviene a un torneo underground di Street Fighter 2. Ma al di là di certe superficiali somiglianze, Boss Level è prima di tutto un film di fantascienza, di macchinari misteriosi che alterano l’essenza dello spazio-tempo e di ricchi imprenditori con la faccia di Mel Gibson che li vogliono costruire per conquistare il mondo.

Frank Grillo

Il film si appoggia in gran parte sulle capienti spalle di Frank Grillo, che silenziosamente si sta ritagliando un ruolo da affidabile uomo action e al quale qui viene finalmente data l’occasione di prendersi il 90% della scena (come già faceva nel sottovalutatissimo Beyond Skyline). Grillo è Roy Pulver, ex militare che tutte le mattina si sveglia a letto con Annabelle Wallis e con un tizio armato di machete che vuole decapitarlo. Uno dei segreti del relativo successo di Boss Level in quanto film d’azione e di loop temporali è il suo completo disinteresse nei dettagli e nel percorso di comprensione e accettazione della propria condizione del protagonista: dove i già citati Happy Death Day e Russian Doll dedicavano gran parte del loro tempo a mostrarci come le protagoniste realizzassero la loro condizione, Boss Level parte direttamente dal loop numero 139, skippa le prime 138 morti (relegandole a flashback sparsi in giro per il film) e ci consegna un protagonista che sa già quello che gli sta succedendo e ha persino una vaga idea di cosa fare per fermarlo.

Questo da un lato permette all’azione di prendersi tutto lo spazio che si merita: l’apertura di Boss Level è da standing ovation per come mette in scena una sequenza di gameplay di un GTA a caso fregandosene di spiegarci il perché e il percome. E il fatto che morte dopo morte Pulver memorizzi con sempre maggiore precisione le mosse delle decine di assassini prezzolati che lo vogliono uccidere permette a Carnahan di costruire le coreografie per addizione: a ogni loop Pulver sa fare qualcosa di più, o lo sa fare meglio, per cui ogni scena d’azione è più ricca e intricata della precedente, in un crescendo che non smette (quasi) mai.

Boss Level: la recensione Mel Gibson

Dall’altro però Carnahan dedica altrettanto tempo alla caratterizzazione dei personaggi, e farci capire con parole chiare e inequivocabili come il suo film sia (anche) una metafora delle occasioni perdute e della speranza che prima o poi abbiamo tutti di poter tornare indietro e compiere scelte diverse, e non perdere così le persone che ci sono care – nello specifico l’ex moglie Jemma e il figlio Joe. Il problema non è tanto che Boss Level rallenta a intervalli regolari, il problema è che quando lo fa lo spirito caciarone e distruttivo di Carnahan si rivela poco adatto ai momenti più sussurrati.

Boss Level funziona quando spinge forte il pedale dell’acceleratore, e quando il sempre eccezionale Frank Grillo può permettersi di buttarla sul ridere; funziona meno quando parla di sentimenti, rimorsi e seconde occasioni, e purtroppo lo fa un po’ troppo spesso nel corso dei suoi 100 minuti di durata. Resta un divertentissimo giro di giostra, nobilitato da un paio di monologhi di un Mel Gibson in versione Nicolas Cage e da un approccio ludico e sbarazzino alla violenza che regala alcune sequenze che non avrebbero sfigurato in uno slasher. È in ritardo, forse fuori tempo massimo, ma siamo disposti a perdonarglielo.

Continua a leggere su BadTaste