Borderlands, la recensione
Non ci si può davvero lamentare di quel che è questo adattamento di Borderlands. Quando si tira in ballo Eli Roth questo è il risultato
La recensione di Borderlands, il film di Eli Roth con Cate Blanchett, tratto dall'omonimo videogioco, in uscita il 7 agosto al cinema
Borderlands è fedele a un videogame scarsamente narrativo. The Last of Us, la serie, ha mostrato che ottimo lavoro si possa fare di riscrittura su un videogioco narrativamente già sopraffino, figuriamoci quindi cosa si poteva fare con questo, che non ha proprio nel racconto la sua arma più affilata! Invece, tutto è stato affidato a Eli Roth, che sparge la sua estetica priva di gusto su tutto il film come polverina magica. È quel tipo di estetica povera che in un film come Thanksgiving diventa subito caratteristica e in uno come questo ammazza ogni credibilità. Quando entrano in scena alcuni ragazzini derelitti, per esempio, sono truccati, vestiti e sistemati così male che sembrano usciti da un film postapocalittico italiano degli anni ‘80. E la cosa peggiore è che probabilmente Eli Roth è felicissimo di questo accostamento!
Non c’è niente di male a godersi un bel film per tredicenni se è pensato e concepito con proprietà di linguaggio e capacità di divertirsi (quel piccolo capolavoro che è The Adam Project lo ha dimostrato recentemente). Sono non pochi i film americani, oggi, che sembrano pensati per un pubblico di quell’età e tuttavia, a furia di buon cinema, riescono a conquistare tutti gli altri. Borderlands invece è la copia della copia della copia di idee altrui che già nella loro prima iterazione venivano considerate poco più di un pretesto. Così, quando alla fine, per chiudere, fa ridere tutti i personaggi insieme perché uno di loro ha fatto qualcosa di goffo, non è la citazione che Roth pensa che sia ai finali dei telefilm di una volta, è l’ennesimo momento in cui al pubblico corre un brivido lungo la schiena di imbarazzo per quello che sta guardando.