Borat

Un reporter televisivo del Kazakhstan arriva negli Stati Uniti per far conoscere ai suoi concittadini l’american way of life. Ovviamente, combinerà una serie di disastri. Si ride in continuazione, ma non è il caso di considerarlo un capolavoro

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Dopo circa 50 minuti, Borat e il suo socio Azamat Bagatov sono protagonisti di una scena incredibile. Nasce praticamente dal nulla, prosegue in maniera delirante e, quando sembra essere finita, è in grado di sorprendere e migliorare. E’ il momento più alto (se così si può dire, visto che la sequenza non è proprio raffinatissima) della pellicola, con gli elementi che rendono la comicità veramente tale: sorpresa e ritmo.

D’altronde, i momenti esilaranti sono veramente tanti e citarli, oltre a rovinare la sorpresa, significherebbe redigere una lista della spesa infinita. Quello che funziona è ovviamente Sacha Baron Cohen (in arte Ali G e ovviamente Borat, due personaggi che dimostrano quanto possa essere trasformista questo attore), che diverte soprattutto per l’ingenuità che mette in mostra e che gli permette di far credere alle sue vittime di essere veramente così. La sua interpretazione è fantastica e decisamente eclettica, in grado di passare dalla peggiore misoginia e razzismo, a momenti di pura poesia. Forse è esagerato, come fa qualcuno, parlare di possibile nomination all’Oscar, ma certo un talento comico simile non nasce tutti i giorni.

Inoltre, a differenza di altri prodotti simili, il basso budget del film non significa automaticamente una regia sciatta. Merito di Larry Charles, noto soprattutto per essere stato lo sceneggiatore della popolare serie Seinfeld e attualmente sodale di Larry David in Curb Your Enthusiasm. Charles mostra di avere un buon senso del ritmo (fondamentale in una commedia) e riesce a rappresentare efficacemente anche i momenti più tranquilli (guardate la foto di Hasselhoff che brucia).

Dato a Borat quello che è di Borat, è il caso di tranquillizzare gli animi. Se in Italia il Foglio di Giuliano Ferrara ha dedicato numerosi articoli (tutti raccolti in un opuscolo di 4 pagine distribuito gratuitamente durante il Festival di Roma) al fenomeno, negli Stati Uniti alcuni giornalisti (David Poland) e testate (Entertainment Weekly si chiede se Borat ha “realizzato il film più divertente della storia o quello più offensivo”) sembrano essere vittime di un delirio. Mi viene da pensare che molta critica a stelle e strisce non voglia apparire bigotta ed ottusa come i personaggi che appaiono nella pellicola, ma penso che si esageri. Se qualcuno vuole credere che un organizzatore di rodeo razzista e omofobo debba rappresentare gli Stati Uniti e che quindi il film sia un attacco all’american way of life, è liberissimo di farlo. Ma mi ricorda molto quei critici che parlavano di rivoluzione cinematografica per quella porcata di Blair Witch Project.

Anche perché è evidente che molte scene, nonostante quello che si sostiene, siano state create ad arte (cosa che non le rende meno divertenti, per carità). Alla fin fine, si tratta sostanzialmente di una candid camera molto simpatica, ma che dà l’impressione di essere tirata un po’ troppo per le lunghe (e il film dura solo 82 minuti!).
Forse, il tutto funzionerebbe meglio a pillole, in televisione o su Internet, come nelle scene tagliate che compaiono su You Tube. Ma non mi dite che Sacha Baron Cohen (individualista, originale, divertente) vuole “minare le fondamenta del sistema americano”. Se non sapessi che è inglese, penserei che ha un passaporto a stelle e strisce…

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