Book Club: il capitolo successivo, la recensione

La quattro protagoniste del film precedente viaggiano in Italia ma Book Club: Next Chapter il peggio lo dà nel suo finale

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Book Club: il capitolo successivo, in uscita in sala l'11 maggio

Un’avvertenza prima di iniziare: non parleremo qui dell’immaginario italiano profuso da questo film, non parleremo delle colline toscane o dei romanticismi di Venezia, della buona cucina e dei cuochi romantici che fanno la pasta con le loro vecchie fiamme, delle lambrette o dei poliziotti galanti. No. Lo sappiamo. È l’Italia come paesaggio interiore, un posto che serve a parlare delle aspirazioni e della natura intima delle protagoniste. Andiamo avanti.

Questa volta la trama è ancora più semplice: le 4 amiche vanno in viaggio in italia per l’addio al nubilato (!) di una di loro, prima Roma, poi Venezia, poi la Toscana. Incontrano vecchie fiamme, vengono molto rimorchiate, molto arrestate e si finisce col matrimonio. Contro ogni aspettativa però questo secondo capitolo (capito il gioco di parole?) di Book Club è scritto molto meglio del precedente. Ne mantiene le caratteristiche base ma ha un’enfasi ben più centrata sulle gag e le oneline, con una capacità di fare umorismo attraverso maschere ben delineate. Inoltre, per gli standard della sua infame categoria (cinema per anziani) non è nemmeno girato male, non ha quella svogliatezza che si percepisce in ogni inquadratura né quella volontà di ferro ad annacquare tutto l’annacquabile fino a che niente conti più nulla e non si possa essere toccati forte dalla storia ma anzi ha una certa cura nel comporre un immaginario ridicolo (che non vuol dire facile a crearsi) che va dalle abitazioni fino ai ristoranti.

A fregare Book Club: Il capitolo successivo (in cui, per inciso, nessuno mai apre un libro) è allora il suo finale, il fatto di voler fare matrimonismo anche quando (vista l’età delle coinvolte) non ce n’era bisogno. Il matrimonio come apice sentimentale per una donna anche se lei non l’ha mai voluto anche se alla fine poi non si sposa effettivamente, ma comunque fa l’unica cosa che conti in un matrimonio: indossare l’abito e scambiarsi promesse davanti a tutti. Reggere tutto questo con grazia è quasi impossibile, ci riesce Jane Fonda (un altro passo davanti all’obiettivo rispetto alle altre, un’altra capacità di interessare lo spettatore e animare le inquadrature) e ci riesce Andy Garcia con un carisma naturale eccezionale, capace di interpretare questo tono surreale in modi credibili.

Ugo Dighero, Giancarlo Giannini e Giovanni Esposito sono ben lieti di recitare in ruoli che in Italia non accetterebbero mai, probabilmente per incassare un lauto (almeno si spera) assegno.

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