Bones and All, la recensione

La recensione di Bones and All, film diretto da Luca Guadagnino e presentato in concorso a Venezia 79. Con Timothée Chalamet, Taylor Russell

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La recensione di Bones and All, presentato in concorso al Festival di Venezia

Ci vuole un tocco veramente speciale per riuscire a raccontare di identità marginali e adolescenti in crisi attraverso una storia di cannibali. Luca Guadagnino la fa invece sembrare la cosa più naturale del mondo, osservando i suoi amabili personaggi con una delicatezza e un affetto che superano sempre la gravità dei loro gesti. Adattato dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis, Bones and All è un teen movie on the road che esplora un’America favolistica, di grandi spazi dalle atmosfere sognanti (il tono è leggero e soffice come una nuvola) dove i veri mostri non sono mai questi ragazzi in cerca di sé stessi ma gli adulti che cercano di fagocitarli con violenza.

Per quanto la dimensione fisica, del corpo, sia determinante nel mandare avanti la storia, Bones and All è in realtà un film che parla soprattutto di sentimenti. La protagonista è la diciottenne Maren (Taylor Russell), un personaggio purissimo con uno sguardo che rivela una curiosità spaventata verso un mondo ancora tutto da scoprire. Il limite per scoprirlo è però solo lei stessa, o meglio la pulsione che ha sempre soffocato: il cannibalismo. Costretta ad arrangiarsi da sola, Maren intraprenderà un viaggio che la farà incontrare - sempre attraverso una dimensione invisibile, quella dell’olfatto - con qualcuno simile a lei. Sarà infatti il suo coetaneo Lee (Timothée Chalamet) a guidarla in questo viaggio introspettivo, dolce e complesso, in cui attraverso il confronto con l’altro riuscirà a vedere, finalmente, anche sé stessa.

Luca Guadagnino riesce in un gioco veramente sofisticato perché pur servendosi di un elemento tipico del cinema di genere (appunto il cannibalismo, che rimanderebbe subito all’horror) lo trasforma in una pura qualità di personaggi da coming of age, rendendo questa “qualità estrema” qualcosa al contrario di innocuo, innocente. Qualcosa di naturale. Guadagnino ci riesce guardando i suoi personaggi sempre con affetto, costruendo attorno a loro un mondo sì realistico - ambientato negli anni Ottanta - ma in cui l’impressione è che la violenza sia sempre metaforica.

Non si tratta, infatti, di una violenza cieca: o meglio, quella dei protagonisti non lo è mai. È invece proprio nell’opposizione con il mondo degli adulti che la loro innocenza si fa ancora più forte, circondati come sono da grandi che li vorrebbero controllare, possedere, usare per perdonare sé stessi in modo egoistico.

In Bones and All la dimensione horror è presente solo in certi attimi, in certe atmosfere che però non si servono di jumpscare ma anzi sono sempre educatamente annunciate, attraverso il sonoro in crescendo, quasi Guadagnino volesse prevenire un sobbalzo che crei distacco con i personaggi. I due protagonisti insieme funzionano molto bene ma è soprattutto Chalamet che, con una recitazione tutta a togliere, incanta con il suo magnetismo.

Commovente ma mai platealmente commosso, Bones and All pur calando leggermente e per un breve intervallo nella parte centrale, riprende subito la sua meravigliosa strada: a bordo di un furgone, guardando un cielo pieno di promesse e ottimismo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Bones and All? Scrivetelo nei commenti!

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