Bonding (seconda stagione): la recensione
Nella seconda stagione, Bonding doveva necessariamente provare a crescere, se ci sia riuscito o meno è tuttavia discutibile
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Nella seconda stagione, Bonding doveva necessariamente provare a crescere. Se ci sia riuscito o meno è tuttavia discutibile. La piccola serie sul sadomasochismo aveva debuttato su Netflix nel 2019 con appena sette episodi di durata molto breve. Stavolta gli episodi sono otto, ma la durata oscilla ancora tra il quarto d'ora e i venti minuti. Davvero non un problema di per sé, considerata la durata spropositata delle puntate a cui ci ha abituato certa serialità odierna. Tornando allo show, Bonding cerca quella crescita, se non di temi, quantomeno di intensità, accostando un discorso più drammatico all'ambientazione della serie. Con risultati alterni.
Nel portare avanti la storia, Bonding accentua il dramma, gioca di più sul legame (sempre per rifarsi al doppio senso del titolo) tra i personaggi. Tiff e Pete non sono più indifferenti l'uno verso l'altro, e la patina di distacco soprattutto di lei è caduta in favore di un contatto più ravvicinato con l'altro. Il gioco della scoperta di una sfera sessuale provocatoria non è più così importante nella storia. Tiff e Pete ragionano sulla loro amicizia, litigano, si allontanano. E dovranno scendere a compromessi per ritrovare un loro equilibrio, consapevoli che tornare indietro non è più possibile. Si tratta in fondo di una storia di personaggi giovani un po' allo sbaraglio che faticano a trovare una loro indipendenza e una loro dimensione nel mondo. E che mascherano le loro insicurezze con il cinismo.