Boardwalk Empire (quinta stagione): la recensione
Si chiude la quinta e ultima stagione di Boardwalk Empire: diamo l'addio ad una delle migliori serie degli ultimi anni
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One generation passeth away, another generation cometh, but the Earth abideth forever
Non era difficile immaginare ciò che sarebbe accaduto nel finale di stagione, e non solo per ciò che avevamo visto nelle ultime puntate. Nella scena iniziale di Eldorado, Enoch finalmente si getta nelle acque di Atlantic City che per anni gli abbiamo visto osservare nella opening dello show. Quella distesa d'acqua, limpida e senza bottiglie di alcol, lo accoglie e lo riporta alle sue giornate d'infanzia, da tempo al centro dei suoi pensieri. È il passato che ritorna sotto varie forme, lo stesso che negli episodi precedenti ha raggiunto Nelson Van Alden (Michael Shannon), facendo crollare la sua quasi decennale copertura (in realtà ormai una nuova vita) agli ordini di Al Capone (Stephen Graham). Ma è anche lo stesso che, nelle fattezze di Daughter Maitland (Margot Bingham), ha spinto Chalky White (Michael Kenneth Williams) al sacrificio estremo.
Tutto trova il suo giusto posto. Questa bolla temporale che ci ha proiettato per otto episodi nel 1931, richiamandosi tramite flashback sempre più insistiti e pressanti agli eventi che hanno scandito la vita del protagonista, infine riavvolge i fili del tempo e ci riporta alla storyline principale delle prime due stagioni, forse le migliori del serial, quelle in cui abbiamo seguito il rapporto paternalistico tra Nucky e Jimmy (Michael Pitt). Lo fa giocando con un montaggio sempre più serrato tra presente e passato, che si alimenta della tensione che riesce a creare mentre ci avvicina alla conclusione inevitabile.
Per anni Boardwalk Empire è stato il prodotto più curato, elegante, "cinematografico" (ma vorrà dire ancora qualcosa questo attributo?) in tv. Un compendio che farà storia su come fondere valori produttivi di altissimo livello, l'ennesimo capitolo del romanzo americano nelle fila della HBO, degno di sedere al fianco di Sopranos – che soprattutto in queste ultime puntate è un riferimento molto presente, non solo per l'attiva e straordinaria partecipazione dello sceneggiatore Terence Winter e del regista Tim Van Patten – ma anche di The Wire. Ricchezza estetica ed eleganza visiva, al servizio di una storia che si inserisce nella visione storica di Scorsese come ennesima parabola di ascesa e caduta di un uomo che voleva "solo" essere grande, e che è destinata a diventare una pietra miliare nel genere gangster. Da oggi la tv è un po' più povera.