Bluethroot, la recensione

Bluethroot è una visual novel italiana che ci racconta cosa si cela nella mente dei ragazzi della Generazione Z

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Parlare di Bluethroot non è certo facile. Non è facile perché ci troviamo di fronte a un videogioco pensato evidentemente per essere presentato ai docenti delle varie scuole d’Italia e giocato anche da chi non è avvezzo a questo meraviglioso lessico. Allo stesso tempo, Bluethroot è anche un’opera a sua volta scolastica, realizzata dagli studenti di un corso di Game Design curato da Fortuna Imperatore, già autrice dell’ottimo Freud’s Bones. È inevitabile, quindi, che ci siano delle caratteristiche di questo gioco che potrebbero far storcere il naso ai più esperti e a coloro che da sempre sono abituati al mondo delle visual novel e delle avventure punta e clicca.

Ma badate bene: sottovalutare Bluethroot potrebbe essere un grave errore.

Il motivo è presto detto: Bluethroot tratta tematiche che non solo sono molto importanti, ma che nei videogiochi spesso vengono relegate ad argomenti di seconda fascia. Argomenti presenti nelle varie avventure, ma come contorno e come supporto a situazioni più pop e più mainstream. Fortuna Imperatore, accompagnata da Daniele Piccolino, Andrea Fusti e Francesca Balestri prendono invece il proverbiale toro per le corna, non guardando in faccia a nessuno. Vi abbiamo incuriosito? Allora venite con noi a scoprire la nuova produzione targata Argomedia e Associazione San Benedetto. Potreste rimanerne sorpresi.

GENERAZIONE Z

La trama di Bluethroot ruota attorno alla figura di Andrea, uno studente appena trasferitosi a Foggia e molto preoccupato all’idea di farsi nuovi amici. Andrea è solitario, introverso e arrabbiato con il mondo, ma su questa maschera si possono notare delle crepe che lasciano intravedere un cuore puro e un animo gentile. La sua vita prende una nuova direzione quando, sul suo cellulare, compare una misteriosa applicazione che sembra comunicare direttamente con lui. Toccherà ad Andrea indagare sulla situazione e scoprire cosa lega questa app alle anime di alcuni suoi compagni di scuola. Il tutto cercando di destreggiarsi nei rapporti umani, decidendo con attenzione se rivelare le proprie fragilità o se continuare a trattenere il proprio dolore dentro di sé.

Nonostante l’idea di partenza possa ricordare quella di Persona 5, Bluethroot si dimostra sin da subito in possesso di una propria identità. Il pregio più importante della produzione, infatti, è proprio da ricercare nelle tematiche trattate e nell’importanza che viene loro data. Il team italiano ha deciso di parlare di bullismo, depressione e autolesionismo, argomenti che saremmo felici di vedere riportati nelle scuole con un lessico più moderno. Se il contenuto ci ha del tutto conquistati, mentiremmo però se vi dicessimo di averne apprezzato altrettanto la forma. I dialoghi risultano spesso fittizi e i personaggi dipinti da questa storia sembrano tutti arrabbiati con il mondo intero. Se queste “anime perdute” fossero state inserite in un contesto maggiormente realistico (all’interno del quale sono presenti anche persone allegre) avrebbero spiccato ancora di più. In questo modo, purtroppo, la  loro unicità viene meno, rischiando di far sembrare i vari comprimari troppo simili tra loro.

IL PROTAGONISTA SIAMO NOI

Bluethroot è un’avventura grafica basata interamente sul dialogo e sulla comprensione delle persone che ci stanno davanti. Lo scopo di Andrea è quello di interagire con alcuni studenti, cercando di aiutarli a superare i loro problemi. Se risponderemo correttamente, riusciremo nel nostro intento. In caso contrario, dimostreremo di non aver compreso a fondo il loro dramma. La caratteristica che rende unico questo gioco, però, è che nel rispondere ai vari personaggi faremo venire a galla la nostra psicologia. Una mossa che non solo avvicina emotivamente Andrea a noi, ma che serve anche come analisi personale delle proprie paure, dei propri traumi e, più in generale, dei propri pensieri.

Si tratta di un’idea brillante, ma che va incontro a un problema. Quando si completa il dialogo con uno studente si viene ricompensati con due diverse tipologie di abilità extra. Da un lato le “ali bianche”, che ci premiano se si ha interagito correttamente, dall’altro le “ali nere”, che invece dimostrano una mancata empatia da parte del giocatore. Questa differenza tra giusto e sbagliato non si sposa bene con l’intenzione di voler creare un’esperienza personale dell’utente. Utente che, dopo aver capito il funzionamento dei dialoghi, potrebbe rispondere nel modo che ritiene corretto e non secondo la sua reale opinione, vanificando quindi l’intento del gioco. Vista poi la scarsa utilità di queste abilità, forse sarebbe stato più interessante limitarsi a raggiungere dialoghi e finali unici in base alle scelte, piuttosto che trovare un modo forzato per “premiare” il giocatore.

STILE E LIMITI

Da un punto di vista estetico, Bluethroot vanta uno splendido character design che abbraccia in toto lo stile fumettistico. Uno stile che non sfigurerebbe se tradotto in un libro cartaceo e che ci ha sorpresi in quasi tutti i filmati di gioco. È però evidente la natura scolastica della produzione. Senza voler fare le pulci allo storytelling delle cut scene, questo emerge soprattutto dagli sfondi spesso vuoti, dalla dubbia prospettiva e con elementi in bassa risoluzione. Discorso simile per la grafica dei vari dialoghi e dell’HUD, che non riesce mai a brillare e, in alcuni casi, danneggia anche la fruizione narrativa. Avere un riquadro in basso, al centro, con una frase e le due risposte posizionate più in alto all’interno di due balloon ci ha portati spesso a leggere prima queste ultime rispetto al testo principale. Un piccolo dettaglio, che però ha avuto conseguenze nella nostra esperienza finale.

Lo stesso si può dire della colonna sonora, che vanta canzoni orecchiabili e perfette in alcuni contesti, ma che vengono riciclate un po’ troppo spesso. Ci sono stati un paio di momenti nei quali la musica non corrispondeva allo stato d’animo previsto da quella situazione. Nulla di troppo problematico, sia chiaro, ma comunque avremmo preferito un paio di tracce extra per riuscire a coprire ogni situazione. Segnaliamo, infine, la presenza di qualche bug, come testi placeholder che indicano le intenzioni dei personaggi e che sarebbero dovuti essere sostituiti poi dai veri dialoghi. Nulla che una buona patch non possa sistemare.

BLUETHROOT

Bluethroot è un’opera unica e interessante. Un’opera che tratta tematiche molto importanti e che, nonostante l’evidente natura scolastica, ci sentiamo di consigliare a coloro che sono interessati alla psicologia dell'essere umano. È bello vedere che alcuni argomenti vengano finalmente portati a galla ed è ancora più bello che siano i giovani a volerlo fare. Titoli come questo puntano a coinvolgere anche le scuole e, di conseguenza, il corpo insegnanti. Un target ben preciso che, ovviamente, si discosta dal videogiocatore medio appassionato di Final Fantasy e di God of War. Un target che, speriamo, possa essere aperto al lessico videoludico e che ascolti la voce di persone come Fortuna Imperatore e dei suoi studenti. Persone di cui abbiamo tremendamente bisogno.

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