Blue Jasmine, la recensione
L'ultima, riuscita "commedia drammatica" di Allen graffia senza corrodere ma conquista, grazie anche a una fulgida Cate Blanchett...
Non è facile, dopo un grande successo, riuscire a restare all'altezza di sé stessi: è una prova dura e impietosa, che ha fatto cadere grandi nomi non solo in campo cinematografico. Figuriamoci, poi, quanto può essere più arduo restare all'altezza di sé stessi quando ci si chiama Woody Allen. Un maestro del cinema conclamato, come conclamato è ormai il suo declino artistico, a cui il suo pubblico più appassionato sta assistendo con muta rassegnazione.
Stavolta Allen esce dal cliché pigramente prestampato della cartolina per confezionare un vivido ritratto femminile con la sensibilità rara che più volte ha dimostrato di possedere (prerogativa di ben pochi autori, tra cui Bergman). Jasmine, quarantenne momentaneamente trasferitasi da Park Avenue al modesto appartamento della sorella a San Francisco, era ricca, amata e apprezzata: o almeno così credeva, finché tutte le certezze su cui ha costruito il fragile castello della sua traballante personalità non crollano una dopo l'altra.
Ma il vero collante interno di Blue Jasmine è un cast a prova di bomba, a partire dalla nevrotica protagonista, cui dà corpo e soprattutto anima la splendente Cate Blanchett. La sua performance brillerebbe di luce propria anche in un'opera di misera fattura, ma è un vero e proprio faro in un racconto sapientemente costruito attorno a lei, in funzione delle sue frustrazioni e delle sue paranoie. Ma lo sguardo di Allen non è mai davvero corrosivo, e in questo caso è un bene: il regista, per una volta, abbandona lo studio dello psicanalista e sembra quasi voler dare una carezza alla bionda testolina di Jasmine, persa in un mondo vero e lontano dalla realtà fittizia nella quale si è cullata per troppo tempo.
Un Allen graffiante, ma buono, che popola il suo palcoscenico di personaggi fortemente caratterizzati senza il peso del macchiettismo e interpretati da un cast impeccabile (da Sally Hawkins a Bobby Cannavale passando per Peter Sarsgaard e Louis C.K.). Un Allen sincero e riconciliatosi con la sua America, e proprio per questo sulla via della definitiva riappacificazione con i tanti fan delusi dai suoi ultimi lavori. La strada è quella giusta: speriamo che il cineasta abbia recuperato padronanza della sua rotta, perché la voglia di esplorare sembra esserci ancora tutta.