Blue Fighter, la recensione
Abbiamo recensito per voi Blue Fighter, opera di Caribu Marley e Jiro Taniguchi pubblicata da J-POP
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Lo dobbiamo a J-POP se in Italia possiamo finalmente leggere Blue Fighter, opera pubblicata in Giappone nel lontano 1982 da Futabasha e arrivata sugli scaffali delle nostre fumetterie lo scorso 31 gennaio.
Blue Fighter (Ao no Senshi) è ambientato nel mondo della Boxe, così come altre collaborazioni dei due autori pubblicate nello stesso periodo, Nakkuru e Live! Odyssey. La storia racconta di Reggae, giovane pugile dedito al vizio dell'alcol e con un tale numero di incontri persi da essersi guadagnato il soprannome di “Re della sconfitta”; eppure, il ragazzo possiede una ferocia primordiale e un talento che l'ex campione dei pesi medio-massimi Dreddy D'Angelo nota immediatamente, e che vuole incentivare e far fruttare.
Tsuchiya e Taniguchi rappresentano gli aspetti più crudi e meschini della Nobile Arte senza risparmiarci il l suo male più famigerato, quello dei match truccati; dalle loro pagine emerge un universo di figure ambigue, borderline, dalle esistenze travagliate. Reggae e Aya, seppur con i loro difetti, si stagliano su questo sfondo come le uniche personalità franche e genuine, reprocicamente ma anche nei confronti del prossimo.
Blue Fighter è anche una storia di tradimenti, di uomini e donne amareggiati dalle loro debolezze e da quelle di coloro che li circondano, disillusi a tal punto da tollerare quasi con indifferenza ciò che risulterebbe per molti un affronto o un dolore inaccettabile.
Il Taniguchi che emerge da quest'opera non è un ancora l'autore maturo che tutti ricordano: è lontano dal suo stile originale, minimale e realistico che lo ha reso uno dei maestri indiscussi della Nona Arte, vicino agli stilemi, al gusto occidentale e così distante dalle produzioni mainstream del Fumetto nipponico. Qui il suo tratto è ancora legato all'espressività folgorante ma talvolta irreale dei manga, anche se già emerge il suo inimitabile talento nel catturare la quotidianità della vita nella naturalezza di un gesto.
Considerando il soggetto, il confronto inevitabile non può che essere con il capolavoro del genere: Rocky Joe (Ashita no Joe, Kodansha,1968), di Asaki Takamori e Tetsuya Chiba. Viene facile fare un parallelismo tra i caratteri e le attitudini dei due antieroi descritti nelle rispettive opere, e, a un'analisi più attenta, emerge la volontà da parte di Taniguchi di omaggiare alcune scene indimenticabili ritratte da Chiba.