Blue Beetle, la recensione
Blue Beetle assomiglia a tanti altri film sui supereroi dimenticandosi di alcune ottime intuizioni e finendo in un generico intrattenimento
Si può fare un gioco divertente guardando Blue Beetle: la conta delle somiglianze. Per capire che cosa sia nell'animo questo film bisogna osservare tutti gli elementi visivi e narrativi che derivano da altre storie. Perché il nuovo film dell’universo DC (che non apre il nuovo arco narrativo, ma ne introduce il primo personaggio) è scritto trovando il minimo comune denominatore tra i cinecomic degli ultimi 20 anni.
Lì infatti lo attende la sua famiglia ruvida e focosa. Volti e corpi lontani da quelli delle star, persone normali opposte ai modelli patinati e attraenti del supereroismo americano. Questa divisione netta tra un mondo dall’estetica fantascientifica\utopica e quello più realistico è rappresentata anche dall’architettura della città, divisa nettamente a metà in un quartiere più avanzato e uno lasciato ai margini.
Qui inizia la discesa di Blue Beetle nell’ordinarietà. Qui è dove il film contraddice il suo proposito di essere diverso. La regia di Ángel Manuel Soto abbandona al conformismo sia nella sua messa in scena che nelle scelte nell'arco del suo protagonista. Jaime vive i poteri come una maledizione, coerentemente con la sua introduzione, ma non c’è alcuna ragione perché un adolescente in grado di volare, essere invincibile e creare qualsiasi cosa gli venga in mente, la pensi così. Chi mai vorrebbe privarsene?
È già vista la minaccia della Kord, generica mega corporation con un generico piano di sicurezza globale. Così anche le dinamiche della graduale scoperta dei poteri assomigliano a un Iron Man nel carattere dello Spider-Man di Tom Holland. C’è un pizzico di Lanterna Verde nei poteri (può creare qualsiasi cosa sia in grado di pensare) e l’idea di famiglia di Shazam. Persino un mezzo di trasporto ricorda Watchmen. Quello dei rimandi, dei calchi e delle imitazioni più o meno consapevoli è un processo squisitamente fumettistico che sul grande schermo si traduce quasi sempre in un prodotto insipido.
La trama non è confusa o contraddittoria come spesso capita con queste produzioni, ma tutto appare messo in fila con il manuale cencelli dei ruoli. Basta un’inquadratura per capire chi vivrà e chi morirà. Tutto così scolastico da permettere non solo di prevedere la scena successiva, ma anche come si risolverà la gran parte delle battute.
Così, all’inizio del terzo atto di Blue Beetle, ci si rende conto di essersi affezionati di più ai sentimenti di questa famiglia sullo sfondo che alle emozioni del suo protagonista. C’è un momento tutto su di loro in cui si capisce cosa pensano di quello che gli sta succedendo: l'ennesimo sopruso dei potenti.
Blue Beetle invece diventa gradualmente tutto ciò che loro dovrebbero detestare. Un uomo invincibile, tecnologico, scintillante, e che sfascia le cose senza troppo rimorso e con un'idea di giustizia individuale, mai sociale. Uno che si innamora di una ragazza fatta come quelle che vede nei film: bellissima e senza personalità. Uno che doveva essere diverso dal “Batman fascista” e gli altri eroi dell’America (Gotham) che ha lasciato indietro le persone più deboli. Invece si ritrova a combattere esattamente come loro e, ancora peggio, sceglie di imitarli.
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