Bloodshot Rising Spirit voll. 1 - 2, la recensione
Bloodshot Rising Spirit non è all'altezza di quanto visto in precedenza sul personaggio e offre una rivisitazione delle sue origini poco convincente
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
A marzo arriverà in tutte le sale cinematografiche Bloodshot, adattamento cinematografico dell’omonimo fumetto Valiant. Il super soldato con i naniti sarà portato sul grande schermo dal noto attore Vin Diesel, a rimarcare quanto Sony creda nel progetto. In attesa di scoprire se l’operazione riuscirà, Star Comics ha pubblicato in contemporanea due volumi in cui ha raccolto gli otto numeri della serie Bloodshot Rising Spirit.
Una moltitudine di voci e tratti grazie alla quale scopriamo la genesi del Progetto Spirito Nascente e facciamo la conoscenza di Angelo Mortalli, un malvivente di bassa lega ucciso durante una rappresaglia contro una famiglia rivale. Nei vari capitoli seguiamo gli esperimenti condotti al fine di ottenere l’arma definitiva, i tentativi di sovrascrivere e stabilizzare i ricordi della cavia e le devastanti conseguenze che ha comportato gettare nella mischia un assassino tanto letale.
Non rintracciamo nulla di tutto ciò su queste pagine. La costruzione ex novo del personaggio passa attraverso un percorso che guarda più ai film d’azione anni Novanta, puntando tutto su ritmo elevato, sequenze di scontro e continue esplosioni. Per quanto possa risultare una lettura complessivamente piacevole, la storia scorre via senza lasciare traccia o spunti d’interesse. Anche il colpo di scena finale, che avrebbe dovuto sconvolgere tutto ciò che sapevamo di Bloodshot, si rivela poco incisivo.
I due volumi proposti dall’editore perugino hanno impostazioni diverse: il primo è molto più frammentato, con storie ambientate in località ed epoche diverse che si susseguono freneticamente; il secondo è più lineare e meno nervoso nello sviluppo. Discorso inverso per quanto concerne la componente artistica: Errore di programma è caratterizzato dallo stile spigoloso di Lashley, mentre Un tipo di nome Ray ha diversi interpreti che non riescono a creare un amalgama omogeneo.
La mancanza di una visione chiara e unitaria è il limite più grande di questa serie, che in definitiva propone una rivisitazione della genesi di Bloodshot non all’altezza delle storie del passato.
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