Bloodride: la recensione
Bloodride è una serie antologica horror norvegese: sei episodi che raccontano storie molto diverse tra di loro
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Forse era lecito aspettarsi di più da un'antologia di soli sei episodi horror ambientati nell'interessante cornice norvegese. Invece, Bloodride (su Netflix) è un campionario di storie affrettate, che proprio nella totale mancanza di atmosfera ha uno dei suoi limiti peggiori. Sono storie diverse tra di loro, unite dalla ricerca di un colpo di scena che, quando non è ampiamente già visto, cade nell'indifferenza di un tono a metà tra il grottesco e la farsa. Manca l'umanità dei personaggi, manca l'irriverenza – magari anche un po' ingenua – di chi propone un approccio particolare. Mancano, del tutto, la tensione e la paura.
In fondo, a mancare qui, e da subito, è una visione comune. I sei episodi raccontano storie che a volte propongono scenari sovrannaturali, a volte no. L'orrore inteso visceralmente e nel senso più puro non c'è. Sarebbe più corretto definire i corti come thriller sovrannaturali, quando questo elemento è presente, e appunto non è sempre così. Il primo episodio, Il sacrificio più grande, ha un attacco promettente: una coppia in uno scenario bucolico che però si mostra da subito inquietante. È una variazione sull'idea di sacrificio molto prevedibile nel suo svolgimento. Potrebbe essere l'inizio di un'antologia in crescita, e alla fine invece forse sarà l'episodio migliore.
Soprattutto, l'impianto cede completamente nella gestione dei personaggi. Qui Bloodride rivela un'ingenuità di fondo nel proporre caratteri che di umano, empatico, verosimile non hanno nulla. La cui parabola si svolge da subito attraverso azioni esagerate, ora mostruose, ora illogiche. Tutto questo nella speranza che premere sull'acceleratore della cattiveria gratuita renda tutto più gustoso.