Bloodline (seconda stagione): la recensione

Torna con dieci nuovi episodi Bloodline: il drama familiare dei Rayburn in una seconda stagione che non smentisce i dubbi della vigilia

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I due cliffhanger che chiudevano la prima stagione di Bloodline arrivavano in coda ad un racconto che aveva esaurito la sua carica narrativa, che aveva esplorato al meglio l'ambiguità dei personaggi e il conflitto che era il motore della storia. C'era un forte senso di artificiosità nell'apparizione improvvisa del figlio mai sentito e mai nominato di Danny Rayburn, nel modo in cui questo si incuneava in un finale tutt'altro che conciliante, ma esauriente. La grande domanda a cui il trio di autori della serie di Netflix doveva rispondere era se, tolto di mezzo il personaggio più interessante della serie, questa avrebbe avuto ancora qualcosa da dire. La risposta è negativa: la seconda stagione di Bloodline non è mai mediocre, ma spesso dà la sensazione di essere inutile.

Eravamo rimasti con John, Meg e Kevin a pulirsi le mani ancora sporche del sangue di Danny, ucciso dal primo, che era stato poi coperto e aiutato dagli altri due. Mentre la vita prometteva faticosamente di proseguire, Sally veniva informata sul fatto che i suoi figli le avevano mentito in qualche modo. Come se non bastasse, dal nulla spuntava Nolan (Owen Teague), figlio di Danny. La seconda stagione spinge in realtà molto di meno su quest'ultimo evento di quanto avremmo potuto pensare. Il centro dei dieci episodi è l'indagine mai completamente chiusa sulla morte di Danny, la faticosa ricostruzione dei pezzi che non coincidono, l'ostinazione di Marco, ex di Meg, che non si arrende alla versione più logica degli eventi.

La prima stagione di Bloodline, che poteva candidarsi tranquillamente come "drama più sottovalutato di Netflix", apriva e chiudeva un discorso interessante. Giocava sull'ambiguità dei personaggi, sull'ipocrisia del bene e sulla pietà del male, e chiudeva tutto perfettamente, eliminando Danny, ma inchiodando per sempre gli altri tre fratelli al male compiuto. Una History of Violence che più andava avanti e più cresceva in ritmo e tensione. Questa seconda stagione non recupera mai quella forza propulsiva, non verte su un conflitto altrettanto interessante, costruisce ben poco di nuovo.

In effetti la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un lunghissimo epilogo (che poi tale non sarà). Si rinuncia quasi del tutto alla dimensione drammatica e conflittuale per puntare di più sull'anima thriller. Il problema è che il dramma non è quasi mai all'altezza e il thriller, anche se aiuta a portare avanti la trama, non ci tiene mai sulle spine come vorrebbe e dovrebbe. Uno dei problemi principali è che, dove la prima stagione era il racconto di un lento, inesorabile cambiamento a lungo soffocato, questa seconda blocca i protagonisti in uno status di perenne angoscia ed esasperazione che non ci offre nulla in cambio.

Bloodline mantiene una patina, anche stilistica, di distanza e segretezza, costruendo quelle inquadrature nascoste che ormai sono un marchio di fabbrica riconoscibile, ma che ormai trovano ben poco corrispettivo in una storia che ha raggiunto il suo acme e che, tra le altre cose, si rifugia continuamente nelle certezze del primo anno. Meno episodi, flashback e apparizioni allucinate che non hanno altro senso se non quello di mantenere in scena Ben Mandelsohn, che era la punta di diamante di un cast comunque ottimo, e che continua a convincere. Tutta la forza di cui è capace questa seconda stagione poggia su un nucleo di attori forti, capaci di infondere ai loro personaggi più conflittualità di quanto la scrittura gliene conceda.

Sissy Spacek è grandiosa. I suoi scambi con i figli sono tra i momenti più strazianti e convincenti della stagione. Idem Linda Cardellini, che tra le altre cose tra i tre fratelli Rayburn è anche quella scritta meglio. Il Kevin di Norbert Leo Butz non convince, il suo è un personaggio troppo debole, poco interessante, è difficile empatizzare con lui. Idem per John (Kyle Chandler), e questo è davvero un punto negativo, considerato anche il fatto che, con grande rischio, la serie gli riserva una serie di momenti a cuore aperto con l'apparizione nel suo inconscio del fratello morto.

Poco o nulla da dire sui nuovi personaggi: Nolan viene presentato come il classico arrogantello sbandato facile da odiare, una versione in miniatura di suo padre, per poi essere messo quasi da parte con l'avanzare della storia. Lo stesso John Leguizamo, nei panni di un uomo di nome Ozzy Delvecchio che vorrebbe ricattare i Rayburn, non va oltre una caratterizzazione molto già vista che viene ripetuta episodio dopo episodio. A quel punto l'irrinunciabile triplo cliffhanger ci lascia con l'amaro in bocca e poca fiducia per il futuro dello show.

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