Bloodline (prima stagione): la recensione

Il drama familiare dei Rayburn nella prima stagione di Bloodline, sottovalutato drama di Netflix

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We're not bad people, but we did a bad thing.

La saga familiare narrata da Netflix nel più sottovalutato dei suoi drama procede schiacciata tra la maledizione di una morte mai elaborata e il presagio di un nuovo, inevitabile fatto di sangue che si staglia all'orizzonte. Nulla viene lasciato all'oblio delle acque della Florida, ma tutto viene rigettato sulla sabbia dalle onde della memoria, che non permettono a nessuno di andare avanti con la propria esistenza e di vivere in pace con i propri peccati e le proprie mancanze. Ai protagonisti di Bloodline rimane l'illusione di una scelta, ma una scelta comunque inserita in un presente mai veramente libero, proprio perché così condizionato dal passato e dal futuro, da una brusca caduta che dovrà arrivare prima o poi e che si ripresenta nella duplice forma di giustizia e vendetta a reclamare il suo tributo.

Protagonista è la famiglia Rayburn, un nome che vuol dire qualcosa alle Florida Keys, come spesso ci verrà ripetuto nel corso dei 13 episodi. Il patriarca Robert ha costruito dal nulla un resort, illuminando l'economia della zona e costruendo pezzo dopo pezzo l'intoccabilità e il rispetto nei confronti della sua famiglia. La serie inizia con la riunione dell'intero nucleo familiare in occasione dell'anniversario di matrimonio di Robert e Sally. Ritroviamo quindi il responsabile e maturo John, un detective già con una sua famiglia formata, Kevin, il più istintivo e meno furbo dei fratelli, anche lui sposato, Meg, avvocatessa con un fidanzamento di lunga data con un collega di John. Questo quadro di artificiosa perfezione viene messo in crisi dall'apparizione di Danny, la pecora nera della famiglia, il figlio che ha sempre creato problemi, che va e viene, che chiede soldi e poi sparisce.

Eppure stavolta l'uomo sembra intenzionato a mettere la testa a posto, chiede di poter rimanere e dare un contributo alla famiglia. Il padre rimette la decisione nelle mani dei figli. In conclusione, per una serie di eventi fortuiti, Danny rimarrà, ma quello che avrebbe potuto essere il racconto di una faticosa riconciliazione e del superamento di traumi passati si trasforma presto in qualcosa di più cupo e violento. Bruschi flash sul passato della famiglia e sul suo futuro – la voce narrante di John ci accompagna nel corso della stagione – ci dicono di non abbassare la guardia, di tenere gli occhi aperti, per ricostruire le vere motivazioni dietro ognuno e decifrare un finale che già sapremo essere tragico.

La "Caduta della casa dei Rayburn", a metà strada fra thriller e drama familiare, è facilmente inquadrabile nel modello Netflix. Storie non necessariamente lente, ma che si sviluppano in maniera fluida e costante lungo tutto l'arco di una stagione, dove la natura episodica passa in secondo piano rispetto a quella stagionale. Il binge-watching diventa un suggerimento più che una possibilità.  Lo show di Todd A. Kessler, Glenn Kessler e Daniel Zelman, trio già dietro Damages, imbastisce una storia che contiene fin dal primo istante un retrogusto teso e angosciante. Quel tema alla fine diventerà la nota principale della storia, ma quello che è importante notare è il modo fluido, progressivo, costante e mai improvviso in cui questo livello aumenta. Ed è esattamente la stessa considerazione valida per la costruzione dei personaggi: alla fine del percorso nessuno di loro sarà uguale a com'era al principio, ma anche qui sarà un cambiamento graduale.

Come corrispettivo televisivo il modello della storia, assolutamente classico nelle sue premesse, non è tanto diverso dalla saga dei Lannister in Game of Thrones. La forza di un nome, il prestigio di una famiglia, che è immortale proprio perché punta tutto su un elemento astratto, al quale si devono adeguare i membri – quelli sì, deboli e imperfetti – della sua famiglia. C'è il patriarca forte ma ormai pronto al declino, i figli rispettosi che soffocano i propri difetti, e la pecora nera, odiata e reietta perché si allontana da quel modello di perfezione così voluto e ricercato. È con questa figura, marchiata e maledetta per la vita, che dobbiamo e possiamo empatizzare maggiormente. Al di là delle sue orribili azioni, al di là del suo comportamento meschino.

Non esiste, naturalmente, una profezia nel mondo apparentemente lussureggiante e vivo di Bloodline. Ma su tutto si allunga l'ombra di un fatalismo, di una predeterminazione alla quale è impossibile sfuggire. Danny è il male, il cattivo esempio, perché deve esserlo, perché per tutta la vita gli è stato così ripetuto, ed è così che il personaggio ha finito per crederci. Allo stesso modo John, Kevin e Meg si sono adeguati a un ideale irraggiungibile, e hanno soffocato istinti che in qualche modo dovranno venir fuori. Ben Mendelsohn, grandissimo lavoro il suo, è il protagonista e il fulcro della vicenda. Non lo vedremo esplodere mai, nemmeno per un momento, ma il fuoco sarà sempre lì nascosto dietro i suoi occhi per tutta la stagione. La sua presenza è fastidiosa, ma al tempo stesso non può essere sradicata perché non rappresenta un attacco diretto alla famiglia. È più una spina conficcata nella mano, qualcosa di piccolo e insignificante, che si tende a ignorare, ma che rimane lì e fa male.

Ma tutto il cast svolge un lavoro grandioso. Addirittura Kyle Chandler, dal quale forse ci si aspetterebbe di più, rimane dietro rispetto alle performance dello stesso Mendelsohn, di un'ottima Linda Cardellini, di Sissy Spacek che qui interpreta con straordinaria umanità la madre. E poi c'è una Chloë Sevigny che rende migliore ogni momento in cui appare. Molto validi i dialoghi, fin dal primo vero momento di conflitto in cui i fratelli si ritrovano per discutere di una compagnia femminile non gradita portata da Danny all'anniversario. Molti i nomi che si alternano alla regia degli episodi, anche se l'approccio rimane uniforme, e che così spesso ripropone inquadrature distaccate, quasi nascoste e capitate per caso ad invadere la privacy della famiglia, ora da dietro un finestrino, ora da dietro un mobile.

Cosa non funziona? Qui bisognerebbe entrare nel dettaglio della storia per argomentare meglio. Cerchiamo di rimanere sul vago. Non tutte le storyline hanno un peso decisivo – o anche solo un peso – al termine della questione, e spesso la necessità di maggiore fluidità porta alla riproposizione di vari momenti, probabilmente necessari, ma che appesantiscono tutto. Ci sono dei momenti "allucinati" che potrebbero avere un senso, ma che sono impostati in modo sbagliato, e almeno due sequenze che poi scopriremo essere dei sogni davvero scorrette. In più, e questo è il vero punto interrogativo sul futuro dello show, c'è l'idea che questa storia abbia raccontato ciò che doveva e abbia perfettamente chiuso il cerchio. Il cliffhanger arriva dal nulla, inserisce un elemento nuovo sul quale non avevamo alcun indizio precedente, rivela l'artificio di una serie che fa i salti mortali per giustificare un proseguimento.

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