Recensione - Bloodborne

Non c’è morte peggiore che annegare nel proprio sangue: la recensione di Bloodborne

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Bisognerebbe giocare a Bloodborne sorseggiando del buon vino, ascoltando il proprio album preferito, possibilmente in compagnia degli amici più cari in una stanza con vista mare. Bisognerebbe, in breve, contrattaccare in ogni modo possibile la strisciante e sinistra influenza che avrà sulle vostre deboli menti. Deve esserci qualcosa di demoniaco e malsano nel modo in cui, nel giro di qualche ora, ribalta completamente il giudizio espresso di prim’acchito nei suoi confronti; qualcosa di perverso e subdolo se ogni volta che ci si promette di lasciar perdere, di abbandonare per sempre la propria quest, qualche ora dopo si ha la netta sensazione di sentire il sommesso lamento della PlayStation 4, che vuole essere accesa a tutti i costi, l’ammaliante bisbiglio del Dualshock che pretende d’essere maltrattato ancora un po’, il seducente picchiettio del disco nel tray, desideroso di mostrarvi orrori tutt’ora celati.

Questo perché Bloodborne è come quella donna (o uomo) che vi ha fatto tanto soffrire, ma di cui non potete fare a meno; come la squadra del cuore, sempre in fondo alla classifica, ma che vi costringe comunque a un soffertissimo tifo; come l’auto con l’abbonamento al meccanico, ma al quale siete troppo affezionati per disfarvene. Bloodborne è gioia e dolore, amore e odio allo stesso tempo. È eros e thanatos allo stato puro: siete nati da una pozza di sangue, solo per morirci affogati con un sorriso beffardo stampato sul volto. Tentativo dopo tentativo, fallimento dopo fallimento.

[caption id="attachment_141248" align="aligncenter" width="508"]Bloodborne screenshot 1 Se pensavate che il comitato di benvenuto del villaggio di Resident Evil 4 avesse accolto con sufficiente calore Leon, aspettate di incontrare quello di Yharnam.[/caption]

From Software riesce nel miracolo, se non di superarsi, di esplorare strade alternative, pur nella piena fedeltà alla formula, ormai classica, inaugurata da Demon’s Solus. Non c’è spazio per le lamentele, tempo per i piagnistei, gloria nelle ritirate: bisogna accettare il proprio ruolo di carne da macello che si fa largo, con molta lentezza, tra indimenticabili orrori e indicibili depravazioni.

Al centro di tutto, la fatiscente città di Yharnam: gotico e lovecraftiano teatro della particolare battuta di caccia dell’indomito (e stolto) guerriero di cui dovrete modellarne le fattezze nell’apposito editor. Non è ben chiaro, né mai lo sarà, il motivo di tanto peregrinare, il perché gli abitanti siano sfigurati da un’orribile piaga che ne ha deturpato le membra e lacerato la psiche, ciò che ha reso possibile l’invasione di creature demoniache che hanno tramutato la metropoli in un ginepraio di vicoli contorti in cui la morte ristagna dietro ogni angolo. Come da tradizione, la creatura di Hidetaka Miyazaki si alimenta di suggestioni, di antiche leggende appena accennate e cronache dalla dubbia fondatezza. Uno dopo l’altro si abbattono i boss senza nemmeno sapere di quali colpe si fossero macchiati, si attraversano ambientazioni perdendo ben presto l’orientamento, si accettano incarichi ignari delle conseguenze.

Il velo d’incertezza non si dirada nemmeno sul fronte del gameplay. Mal equipaggiati e guidati da laconici consigli, si muovono i primi passi nella certezza che solo l’esperienza sul campo può fornire sufficienti appigli per garantirsi la sopravvivenza. Si procede guidati dal disperato bisogno di accendere la successiva lanterna, declinazione vittoriana dei falò dei Dark Souls, così da assicurarsi un vicino checkpoint. Si combatte pagando a caro prezzo i comandi mal impartiti al proprio avatar. Non c’è spazio per l’improvvisazione in questo intransigente e tecnico action-RPG. Maneggiare con disinvoltura le combo in proprio possesso, imparare i pattern d’attacco dei propri nemici, aspettare pazientemente il momento giusto per contrattaccare, centellinare il consumo della barra di stamina, sono regole basilari, ormai note ai fan delle produzioni di From Software, il cui valore è immutato.

Bloodborne, tuttavia, non è un mero sequel con un titolo diverso. A modo suo innova, puntando innanzi tutto su un ritmo di gioco sensibilmente più elevato. Coerentemente con il setting, non ci saranno né scudi, né spesse armature a difendervi. L’elusione delle offensive nemiche è competenza della schivata, piuttosto reattiva, e dell’utilizzo, con tempismo perfetto, dell’arma da fuoco equipaggiata in una delle due mani del protagonista: piuttosto che impallinare dalla distanza gli avversari, utilizzerete i pochi proiettili in possesso per stordirli quando abbasseranno la guardia, un attimo prima di colpirvi. Spade, asce e lance, per i canoni del genere, si dimostrano insospettabilmente maneggevoli e la possibilità di recuperare parte del danno subito, colpendo entro un certo lasso di tempo gli oppositori, vi stimolerà a combattere con meno remore e oculatezza. Occhio a non farvi prendere la mano: Bloodborne è pur sempre un titolo spietato e poco indulgente.

[caption id="attachment_141249" align="aligncenter" width="508"]Bloodborne screenshot 2 Basta un rumore, un gemito, un crepitio per farvi trasalire dalla paura: ogni nuovo scontro, potrebbe essere l'ultimo della vostra sfortunata campagna.[/caption]

Se ne ha una controprova nella gestione del personaggio. Scordatevi comodi ed esplicativi menù nei quali ordinare gli item in possesso e consultare lo skill tree. Tutto si gestisce dal criptico Sogno del Cacciatore: ambientazione da cui, a patto di scovarne le postazioni e comprenderne il funzionamento, è possibile accedere nei livelli, potenziare le armi, fare acquisti e persino incrementare il livello del personaggio. Il potenziamento delle statistiche è saldamente vincolato alla raccolta degli Echi di Sangue, rilasciati da ogni nemico sconfitto, che andranno conservati sino all’accesso nel Sogno del Cacciatore. Morire in un punto qualsiasi di Yharnam significa perdere il bottino accumulato, vanificando, virtualmente, ogni sforzo compiuto fino a quel momento.

"La creatura di Hidetaka Miyazaki è un gioco sì difficile, ma mai sleale"

La creatura di Hidetaka Miyazaki è tuttavia un gioco sì difficile, ma mai sleale. Il level design, tanto per cominciare, dissemina con inaspettata generosità oggetti da raccogliere e scorciatoie per superare indenni ambientazioni particolarmente sovraffollate di mostri: in questo senso l’esplorazione diventa un fattore tutt’altro che secondario. L’esperienza maturata in battaglia sarà un fattore che volgerà sempre a vostro favore: conoscere la posizione dei nemici e le mosse a loro disposizione vi salverà la pelle un numero incredibile di volte. Il co-op, in particolar modo, può risolvere una fase di stallo che si prolunga da fin troppo tempo: sebbene l’infrastruttura che lo gestisce (identica a quella che regola i divertenti scontri PvP) sia poco intuitiva e inutilmente arzigogolata, il netcode sostanzialmente stabile, rende ogni scampagnata in compagnia una piacevole, per quanto sempre pericolosa, carneficina di bestialità assortite.

Al novero delle imperfezioni che scalfiscono una produzione così maestosa e mastodontica si segnalano tempi di caricamento immotivatamente prolungati (nonostante sia già in lavorazione una patch per ridurli) e un comparto grafico che tecnicamente soffre di un frame-rate claudicante e di alcuni bug che parzialmente sciupano alcune sezioni dell’avventura. Tutto questo, ad ogni modo, a fronte di un art design ispiratissimo e abbagliante, in grado di mettere in scena mostruosità inquietanti e scorci macabri di un’umanità ormai allo sbando e infettata da un male non più debellabile.

[caption id="attachment_141250" align="aligncenter" width="508"]Bloodborne screenshot 3 Il concetto di bellezza è estremamente relativo nel mondo di Bloodborne. Nessun tramonto romantico: solo "splendidi" scorci desolanti e gotici.[/caption]

Bloodborne non è certamente un gioco per tutti. Al netto di un armamentario contenuto rispetto ai Dark Souls e una main quest completabile in “sole” trenta ore, offre missioni secondarie e tesori da scovare che vi costeranno almeno una seconda immersione negli orrori di Yharnam. Ci vuole fegato e fiducia per superare indenni le prime traumatiche ore di gioco. L’alone di incertezza che avvolge persino i comandi basilari con cui controllare l’avatar, oltre che trama e motivazioni della vostra caccia, scoraggeranno una buona parte dei videogiocatori. Per spezzare il mortificante, e pur ipnotico, samsara di morti dolorose è necessario non abbassare mai la guardia, non sottovalutare gli scontri, muoversi e contrattaccare con una strategia ben delineata. Se saprete oltrepassare il difficile impatto con le prime avversità, vi scoprirete invischiati in un’esperienza assuefacente e stimolante, proprio perché bilanciata e gratificante.

Da comprare al volo, amare, odiare, promettere di non farci mai più una partita. Poi cedere nuovamente al richiamo della caccia, perché Bloodborne non è uno di quei giochi di cui vi libererete molto facilmente.

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