Blood Red Sky: la recensione

Blood Red Sky prende un'ottima premessa e la stira troppo, quasi oltre i limiti della sopportazione; che però, per fortuna, non supera mai

Condividi
Blood Red Sky: la recensione

Prendete due battute ragionevolmente famose del cinema di genere dell’ultimo quarto di secolo: Sam Jackson che dice “I’ve had it with these motherfucking snakes on a motherfucking plane” e George Clooney che esclama “Siamo tutti d’accordo nell’affermare che abbiamo a che fare con dei vampiri del cazzo?”. Mettetele insieme, spogliatele di ogni ironia e otterrete Blood Red Sky, un curioso film di vampiri che non fa nulla per nascondere la sua natura fin dall’inizio e che, se solo avesse un po’ di dono della sintesi, potrebbe diventare un piccolo culto.

Nadja e il figlio Elias stanno volando verso New York su un volo transatlantico perché la madre deve sottoporsi a un ciclo di cure sperimentali che potrebbero aiutarla con la sua condizione, che viene saggiamente tenuta nascosta per tutto il primo atto. Purtroppo il volo viene dirottato da un gruppo di terroristi, la cui missione viene altrettanto saggiamente tenuta nascosta per tutto il film: non è di loro che ci interessa, perché non appena prendono possesso dell’aereo e cominciano ad ammazzare ostaggi per puro sadismo scopriamo quello che il trailer, il titolo, la locandina e tutto il materiale promozionale del film aveva già svelato. E cioè che Nadja è una vampira, per cui i rapporti di forza si ribaltano e da thriller ad alta quota con i terroristi Blood Red Sky diventa un horror ad alta quota dove i terroristi sono carne da macello.

Blood Red Sky mamma

Il setup sarebbe quello perfetto per un action tiratissimo, claustrofobico e ultraviolento, ma Peter Thorwarth (che oltre a dirigere Blood Red Sky l’ha ancora scritto) ha altre idee: il suo non è solo un film di vampiri ma anche un film su una vampira, sul fatto che non accetta la sua condizione, che è convinta di rappresentare il male, che ha un desiderio di morte che solitamente non ci si aspetta in una persona che morta lo è già, ed è risorta con i superpoteri. L’aspirazione autoriale purtroppo azzoppa un po’ il risultato finale: Thorwarth dedica tantissimo spazio a flashback, spiegoni e momenti di introspezione vampirica – durante i quali, va detto, Peri Baumeister tiene il punto con una classe assoluta, e riesce a risultare credibile anche quando si dispera truccata da Dracula – e rallenta spesso il ritmo per provare a far respirare la storia. Il problema è che la fa respirare fin troppo: il problema non sono i flashback in quanto tali, ma il fatto che potrebbero durare di meno e sarebbero doppiamente efficaci; una cosa è l’atmosfera, un’altra è tenere un’inquadratura troppo a lungo anche quando ha già detto tutto quello che doveva dire.

Per fortuna Thorwarth è anche un sadico, e quando c’è da abbandonarsi alla violenza lo fa con una crudeltà sopraffina; ed è ottimo anche il modo in cui riesce a muovere la macchina da presa in un set angusto e limitante: girare tutto all’interno di un aereo senza far mai perdere l’orientamento a chi guarda è un’impresa non facile. Stilisticamente Blood Red Sky è quasi inattaccabile, e ha una personalità rara per un film distribuito su Netflix – quella che di solito manca nei prodotti di casa e spunta invece in abbondanza in quelli non americani. Peccato solo per la sovrabbondanza di scrittura che scade spesso nella ripetitività: venti minuti/mezz’ora in meno e staremmo parlando di uno degli horror dell’anno.

Continua a leggere su BadTaste