Blood & Gold, la recensione
Dichiaratamente derivativo, Blood & Gold si propone con un divertissement, ma il piacere del racconto è annacquato da parentesi intimistiche e storiche
La nostra recensione di Blood & Gold, disponibile dal 26 maggio su Netflix
Protagonista di Blood & Gold è un disertore dell’esercito tedesco che, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, scampa alla morte per impiccagione grazie all’intervento di una donna che ce l’ha a morte con i nazisti. Mentre l’uomo non desidera altro che tornare a casa e riabbracciare la figlia, i due si troveranno coinvolti nella caccia a un ingente quantitativo d'oro appartenente a ebrei, nascosto da qualche parte in un villaggio, a cui sono interessati soldati e gente del posto.
Se le premesse del film sembravano infatti assicurare grandi dosi di divertimento, magari grossolano, ma pur sempre efficace, quello a cui assistiamo non esattamente così. Se all’inizio vengono proposte scene di efferata violenza con un sottofondo musicale pop, contraltare ironico, queste nella seconda parte assumono configurazioni più videoludiche, e a risentirne è l’aspetto pulp, via via addomesticato. Abbandonano gli elementi potenzialmente grotteschi, ma a dominare è poi la serietà dell'orizzonte complessivo. Il regista Peter Thorwarth si rivela più interessato alle parentesi intimistiche e storiche, a dialoghi pieno di pathos che cozzano con la consistenza dell’intreccio e degli interpreti. Questa tendenza non sarà che ribadita nel finale, in cui prima viene mostrato l’arrivo degli Alleati, con toni beffardi, ma poi, con un colpo di coda, si chiude su un quadretto commovente, che annacqua il tutto.