Blood Diamond

Sierra Leone, 1999. Durante la guerra civile, un contrabbandiere tenta, con l’aiuto di un contadino, di ritrovare un enorme diamante. La pellicola con Leonardo DiCaprio ha tutti gli stereotipi e le assurdità del caso…

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Leonardo DiCaprio, Djimon Hounsou e Jennifer Connelly: qual è la cosa peggiore che si può fare con un cast del genere? La domanda ha una risposta grazie a Ed Zwick, che si mette d’impegno per distruggere tutte le potenzialità di questi attori.
Non è che loro recitino male, tutt’altro. DiCaprio prende un accento sudafricano notevole e, a tratti, fa decisamente paura (ragione per la quale, probabilmente, è stato nominato, a scapito del ruolo in The Departed). Djimon Hounsou ha una presenza notevole, non solo a livello fisico, ma soprattutto umano ed esprime efficacemente il dramma di un continente. Jennifer Connelly non fa nulla di straordinario, ma è abbastanza esperta da cavarsela.

Il problema è che tutti devono sottostare ad una sceneggiatura assurda (merito, si fa per dire, di Charles Leavitt, che già ci aveva ‘deliziato’ con Verso il sole), che rende i personaggi delle macchiette allucinanti. Il ruolo del contrabbandiere è chiaramente ricalcato sulle interpretazioni più celebri di Humphrey Bogart (soprattutto Casablanca e Il tesoro della Sierra Madre), di cui si colgono però soltanto gli stereotipi più banali (penso soprattutto alla scena in cui si rivela il passato di DiCaprio, decisamente idiota). Il ruolo della giornalista è invece piattissimo. Zero motivazioni per andare in Bosnia, Afghanistan e Sierra Leone, soltanto un idealismo poco convincente (soprattutto perché è lei la prima a non crederci troppo).
E che dire del contadino africano? Beh, c’è una scena in cui il personaggio è talmente idiota da far sperare che lo ammazzino veramente.

Già questo fa capire quanto sia pretestuoso il presunto impegno civile della pellicola. Ma, soprattutto, è il punto di vista ad essere fastidioso. Dopo che la giornalista ha scattato delle foto di una situazione drammatica, il contrabbandiere le rinfaccia di essere anche lei una sfruttatrice dei drammi africani. E’ un momento banalissimo (una di quelle classiche sequenze in cui bisogna spiegare allo spettatore quello che deve pensare, perché da solo potrebbe non arrivarci), ma è emblematica dell’ideologia della pellicola (e, in generale, di una mentalità molto diffusa). Infatti, si ha la fortissima impressione che i problemi africani siano frutto soltanto dei commerci occidentali e che, se diventassimo consumatori più consapevoli, questi scomparirebbero miracolosamente. Idea già assurda in sé, ma in particolare in questa situazione, in cui i ribelli si finanziano con i diamanti solo perché è la materia più pregiata disponibile sul luogo. Poteva essere petrolio, cocaina, eroina, marijuana o tante altre sostanze di valore che vengono utilizzate dalle guerriglie (di qualsiasi tipo esse siano) per finanziarsi. Pensare che siano i beni di valore a produrre i conflitti è una banalità (altrimenti, dovrebbero esserci guerre civili anche in tutti i Paesi arabi e, perché no, in Texas).

D’altronde, Zwick rende palese la sua malafede quando, nella seconda parte del film, descrive questa nazione con un classico effetto cartolina. E il finale stratelefonato (sia nel destino dei personaggi, che nel pistolotto politico) farà magari contente le associazioni per i diritti umani, ma è cinematograficamente una stupidaggine.

Insomma, ha ragione la giornalista interpretata da Jennifer Connelly: probabilmente, nessuno in occidente farà molto per i problemi del terzo mondo. Soprattutto se questi vengono segnalati da film brutti come Blood Diamond

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