Blocco 181: la recensione

Blocco 181 è Romeo e Giulietta a Milano tra coca e malavita; sotto una superficie "cattiva" nasconde però un tenero romanzo di formazione.

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Blocco 181 sta a West Side Story come West Side Story sta a Romeo e Giulietta. È infatti una serie di confini, sebbene ambientata in una Milano nascosta, quella di periferia, del delivery di cocaina (affidata di nascosto ai rider) e dei clan che si contendono il territorio. C’è un costante senso di invasione, sia da parte della comunità Italiana del Blocco 181 che da quella sudamericana che ha fatto suoi quegli spazi, un po’ come i Jets e gli Sharks, o i Montecchi e i Capuleti.

Fortemente voluta da Salmo, che della serie è supervisore, produttore musicale, produttore creativo e attore, Blocco 181 è qualcosa di più del solito affresco sulla malavita. Vuole essere durissima, sin dalla scena di apertura dove una conta scandisce i pugni che si devono prendere per diventare uomo.

Ha sfumature non solo maschili, grazie al personaggio insolito di Bea, interpretata da Laura Osma. Una giovane ragazza, sorella di Ricardo, capo della comunità latina e colui che prende tutte le decisioni. La sua posizione famigliare la colloca al centro di influenza del clan locale, giovanissima e potente non sta però alle regole. Sembra sempre che sia lei a spezzare la catena di violenza grazie alla sua femminilità. Invece lei non si veste mai di questo pacifismo ingenuo o retorico. Anzi, rifugge ogni stereotipo femminile. È sempre in controllo (ha due amici - amanti che la seguono fedelmente) e vuole il potere per fare le cose a modo suo.

Lei, insieme a Ludo e Mahdi (appartenenti al lato opposto del quartiere), vogliono scalare la gerarchia criminale. C’è chi lo fa per necessità, chi per orgoglio e chi per noia. La vecchia generazione si scontra per motivi di appartenenza, in uno spazio troppo stretto per contenere i differenti gruppi sociali. Una guerra civile nascosta agli occhi della polizia, ma accesissima. I tre amici, che condividono anche un triangolo amoroso, si inseriscono in queste tensioni per superarle. Loro vogliono far fortuna, e basta, non hanno un “orgoglio di patria” da difendere, ma solo il desiderio di sbarcare il lunario.

Blocco 181: i volti emergenti

È questa l’idea più forte di Blocco 181, la cui qualità realizzativa è pari a quella di molte altre produzioni di serie A che anche noi italiani abbiamo dimostrato di essere capaci di fare. La tensione è alta, l’azione è rigorosa, la scrittura dei dialoghi non scivola quasi mai e fa un ottimo lavoro sulle inflessioni locali. Però non è questo che la fa brillare, nemmeno il tono da videoclip rap (che la fa sembrare più stereotipata di quanto sia). Funziona invece quando lascia sullo sfondo le lotte dei boss della droga e il tema del controllo del territorio. Più romantica e sincera di quanto si possa pensare, Blocco 181 sembra una serie come tante quando si concentra sulla strada e sullo spaccio, diventa fresca quando lascia spazio ai suoi tre giovani protagonisti.

Le nuove generazioni superano lo stallo tra fazioni con una vitalità e una voglia di conquistare il proprio posto tipica dei romanzi di crescita, non dei crime. Ludo è interpretato da Alessandro Piavani, giovane volto emergente, anche lui capace di stare sempre sul confine tra ingenua bonarietà e la superiorità di un Peter Pan che sa perfettamente cosa vuole dalla vita. Un personaggio che potrebbe provenire da un’altro tipo di cinematografia, quella adolescenziale. È inserito come un corpo estraneo rispetto a quella micro società e, ingenuamente, innesca con le sue azioni una serie di conseguenze e conflitti. Eppure ci sta benissimo, dà modo ai sentimenti di emergere in una storia che altrimenti rischierebbe di diventare asettica.

Blocco 181 teaser trailer

Una Milano diversa e contraddittoria

Milano è ripresa come i registi statunitensi filmano il confine tra gli U.S.A e il Messico. Una frontiera delimitata sempre dagli stessi portoni e dai cancelli che parlano con i loro colori e con le forme. La periferia è brutta, sporca, cattiva, ma è anche sempre in vena di far festa e di sparare la musica a mille. Tutto è su di giri, plausibile, ma leggermente esagerato, come se fossimo sotto l’effetto di stupefacenti. I dialoghi continuano a cambiare lingua come gli stessi abitanti che cercano di adeguare il loro livello di allerta in base alla via che attraversano. 

Quando entrano in scena sono tutti muscolari, durissimi, sicuri di sé. Bastano poche sequenze però per scoprire la loro debolezza e tutte le paure di cui sono fatti. È un po’ la contraddizione di cui vive Blocco 181, e che lo rende difficile da classificare, nel bene e nel male. 

Perché la sua patina scintillante e moderna, da serie che può mostrare tutto e non ha paura di niente, nasconde in realtà uno spirito diverso. Emula tanti stereotipi moderni, usa tutti gli elementi che piacciono al pubblico di oggi, però la serie non è questo. Ha un’anima classica, uno spirito di altri tempi molto più valido. Guarda a storie senza tempo e a relazioni che non hanno bisogno di pistole e cocaina per esprimersi. Insomma, la serie lotta costantemente con la strada di Salmo esprimendo con orgoglio una cattiveria che in realtà non possiede. Sono i suoi tre giovani, disinteressati dalle risse di quartiere e interessati solo a seguire il proprio istinto, a salvare la serie dall’anonimato delle solite situazioni e delle solite minacce.

La si vede per i gangster, la si ama per il romanticismo.

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