Bliss, la recensione

Il nostro mondo non è quello vero, e quello vero è meglio. Allora perché qualcuno vive in una simulazione? Bliss risponde

Critico e giornalista cinematografico


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Il punto di partenza di Bliss è quello di una buona parte del cinema di fine anni ‘90, il fatto cioè che qualcuno viva un’esistenza così tranquilla e priva di eventi rilevanti, così routinaria e ordinata da essere intollerabile. La vita nell’ufficio grigio da cui fuggire attraverso un mondo sotterraneo, fantastico o, come in Matrix, reale. Come in quei film il protagonista anche qui si trova a disagio senza saperlo, lo scopre quando qualcuno gli apre la porta di un mondo diverso. Cosa che in Bliss avviene ingerendo qualcosa. Negli anni ‘90 la pillola era il simbolo stesso della droga sintetica, oggi il cristallo di meth lo è di più, così invece della pasticca in Bliss è ingerendo dei cristalli che si giunge ad un altro livello di consapevolezza.

Di questo capitale di trama anni ‘90 Bliss fa davvero il peggior uso possibile, unisce molto male tecnologia e animismo, cioè lo spiritualismo delle esistenze su piani diversi e la concretezza dei mondi alternativi tecnologici proiettati avanti nel futuro, dando sempre la sensazione che invece di arricchire un tipo di visione con l’altra (come faceva, di nuovo, Matrix) le stia impoverendo entrambe, riducendole al minimo comun denominatore per farle scontrare invece di trovare una strana e imprevista armonia.

Ma anche il cambio di mondo, cioè il passaggio dall’esistenza grigia al mondo reale, fuori da quella che già dai trailer si capisce essere una simulazione e la sua conseguente confusione nel protagonista, sembra la versione di un espediente di Philip Dick messa a punto da uno studente che ha fatto tutto all’ultimo minuto. Owen Wilson, catturato, conquistato e educato da Salma Hayek al fatto che c’è una dimensione superiore e una volta transitato dall’altra parte e scoperto di aver vissuto diverso tempo in una simulazione, comincia a distinguere a fatica vero e falso, simulato e concreto. Tuttavia invece di portare a domande esistenziali come in Dick (come posso sapere chi sono davvero? Qual è la vera natura del mondo che mi circonda? Come posso fidarmi delle mie percezioni in un mondo di droghe, alcol e rappresentazioni tecnologiche impeccabili?) porta alle più scontate valutazioni su cosa sia meglio e cosa sia peggio, se una vita di vere emozioni in un posto peggiore, o una in un posto migliore ma gelida.

C’è da chiedersi come mai un film simile non sia stato diretto da Terry Gilliam ma in realtà è tutto frutto di Mike Cahill, sceneggiatore e regista, che già con Another Earth e I Origin aveva cercato di creare un sottogenere della fantascienza che porti il suo nome, usare spunti molto interessanti (più di quello di Bliss) per esplorare tematiche umane. Solo che come spesso gli capita già dopo pochi minuti di trama accartoccia la parte di fantascienza e dichiara di averla usata come un inganno per attirare lo spettatore e proporgli un altro tipo di film.
Bliss è un film indie e intellettuale con anche un lato commerciale che non ce l’ha fatta. Che non riesce mai a trasformare una premessa accattivante in un’occasione di cinema, ma che si limita al più misero agitare un’idea nota (la scoperta di aver vissuto in una simulazione) per riciclare un film vecchissimo con idee luddiste.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Bliss? Diccelo nei commenti dopo averlo visto su Prime Video!

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