Blindspot 1x02 "A Stray Howl": la recensione
Al secondo appuntamento Blindspot fa un passo indietro rispetto alla première: il ritmo serrato non basta ad aiutare una storia che non coinvolge
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Più che di case-of-the-week sarebbe più corretto parlare di case-of-the-day. La storia narrata in A Stray Howl si svolge a poche ore dal precedente episodio, e ancora una volta prende spunto da un tatuaggio sul corpo di Jane. Gli agenti dell'FBI da un indizio decifrato giungono alla casa di un maggiore dell'esercito in congedo. L'uomo però non è in vena di parlare e li manda via bruscamente. Pochi secondi dopo la casa dove abita il maggiore esplode, lasciando il gruppo a bocca aperta. Ma l'uomo è ancora vivo. È l'inizio di una corsa serrata per scoprire le sue motivazioni e fermare il suo cammino di vendetta.
"Terrible people do terrible things. Good people stop them". Linee di dialogo come questa affossano qualunque possibilità di empatia e coinvolgimento, e non sarà una regia iperfrenetica e un montaggio serratissimo a costruire una parvenza di visione autoriale o a tappare le lacune nella narrazione. L'interpretazione impalpabile di Sullivan Stapleton si scontra con una direzione del cast svogliata, in cui solo Jaimie Alexander a sprazzi riesce ad emergere, prima di tornare ad annaspare in un mare di espressioni contrite o a bocca aperta. Tutto è gridato, tutto è sottolineato, ma nulla sembra avere veramente importanza: quattro volte ci viene riproposto lo stesso omicidio in bianco e nero, mentre la stessa Jane, nel più banale e antiquato dei paralleli fra trama generale e trama dell'episodio, rifletterà su se stessa e sul suo destino.