Blindspot 1x02 "A Stray Howl": la recensione

Al secondo appuntamento Blindspot fa un passo indietro rispetto alla première: il ritmo serrato non basta ad aiutare una storia che non coinvolge

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Spoiler Alert
Dialoghi disastrosi e regia da montagne russe, Blindspot al suo secondo episodio fa un passo indietro rispetto alla già non entusiasmante première. Si cerca di imporre un ritmo frenetico alla narrazione, di lanciare qualche linea guida sulla strada verso la costruzione di una trama orizzontale, e nel tempo stesso si imbastisce – su una premessa sempre meno accettabile – un caso da risolvere nell'arco dei quaranta minuti. Ma manca una visione forte, un concept degno e la forza di raccontarlo. Dopo due episodi la serie di Martin Gero sembra aver già dato tutto il possibile, e la conferma per un ordine di ulteriori nove script pesa come un macigno sullo show.Più che di case-of-the-week sarebbe più corretto parlare di case-of-the-day

Più che di case-of-the-week sarebbe più corretto parlare di case-of-the-day. La storia narrata in A Stray Howl si svolge a poche ore dal precedente episodio, e ancora una volta prende spunto da un tatuaggio sul corpo di Jane. Gli agenti dell'FBI da un indizio decifrato giungono alla casa di un maggiore dell'esercito in congedo. L'uomo però non è in vena di parlare e li manda via bruscamente. Pochi secondi dopo la casa dove abita il maggiore esplode, lasciando il gruppo a bocca aperta. Ma l'uomo è ancora vivo. È l'inizio di una corsa serrata per scoprire le sue motivazioni e fermare il suo cammino di vendetta.

In tutto questo Weller sviluppa una teoria sull'identità di Jane, che potrebbe essere una bambina di nome Taylor Shaw che conosceva 25 anni prima. Il padre di Weller, accusato della scomparsa, non era mai stato apertamente condannato, ma a quanto pare da allora il sospetto lo ha sempre accompagnato e ha raffreddato i rapporti con il figlio.

"Terrible people do terrible things. Good people stop them". Linee di dialogo come questa affossano qualunque possibilità di empatia e coinvolgimento, e non sarà una regia iperfrenetica e un montaggio serratissimo a costruire una parvenza di visione autoriale o a tappare le lacune nella narrazione. L'interpretazione impalpabile di Sullivan Stapleton si scontra con una direzione del cast svogliata, in cui solo Jaimie Alexander a sprazzi riesce ad emergere, prima di tornare ad annaspare in un mare di espressioni contrite o a bocca aperta. Tutto è gridato, tutto è sottolineato, ma nulla sembra avere veramente importanza: quattro volte ci viene riproposto lo stesso omicidio in bianco e nero, mentre la stessa Jane, nel più banale e antiquato dei paralleli fra trama generale e trama dell'episodio, rifletterà su se stessa e sul suo destino.

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