Blatta, la recensione

La RW ha riproposto recentemente nella sua etichetta Lineachiara, dedicata al fumetto d'autore, Blatta, di Alberto Ponticelli, opera risalente al 2008

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


Condividi

La RW Edizioni ha riproposto recentemente nella sua divisione Lineachiara, dedicata al fumetto d'autore, Blatta, di Alberto Ponticelli, opera risalente al 2008 e pubblicata allora da Leopoldo Bloom Edizioni. È un'iniziativa che merita un plauso alla casa editrice novarese, che grazie alla maggior potenza distributiva del precedente editore, ha reso disponibile al grande pubblico e in edizione di pregio e cartonata, il graphic novel dell'autore milanese.

Blatta è il monologo di un abitante di una possibile e terrificante Terra del futuro, desolata, disperata, in cui la vittoria sulla morte rappresentata dalla conquista del più sofisticato processo di clonazione, ha privato per sempre l'uomo della sua essenza, della sua peculiarità; la vittoria sulla morte non ha significato dunque la felicità ma la sua condanna. Il protagonista è relegato come uno scarafaggio a vivere all'interno di uno spazio angusto di pochi metri quadrati e soprattutto a fuggire ogni contatto umano per evitare qualsiasi istinto riproduttivo che porterebbe all'incontrollato affollamento del pianeta e alla sua catastrofe.

Ponticelli dà forma e contenuto a una delle paure più attuali e angoscianti del nostro tempo, quella del sovrappopolamento e di un futuro che non può essere di tutti. La scienza insieme alla tecnologia, strumenti in passato di edificazione, di emancipazione dallo stato di bruto a quello di essere superiore, implodono nei simboli della follia della nostra specie, precipitandola in condizioni esistenziale inferiori a qualunque animale in natura, privandola della sua peculiarità, del suo spirito, delle sue fattezze, seppellite in un grottesco casco da astronauta, quasi un burka apocalittico. I testi del fumetto si riducono al solo flusso dei pensieri del protagonista che scorre attraverso le didascalie. Non vi sono balloon, il filo fioco del racconto si fonde e trasmuta in immagini e le immagini a sua volta in parole. La forza di Blatta non è ciò che racconta ma come lo racconta e lo fa attraverso la qualità delle sue tavole dominate dall'elemento grafico, in cui ogni disegno è molto di più di una vignetta, è una meraviglia artistica che assume comunque un ruolo e un posto nella sequenzialità assegnatale e offre nel suo insieme, una nuova, strabiliante dimostrazione del vigore e dell'espressività del bianco e nero.

Continua a leggere su BadTaste