Blackout Love, la recensione

Nonostante storture e indecisioni più o meno piccole, Blackout Love ha una sua morale che, per quanto banale o affermata con non troppa profondità, arriva.

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Blackout Love, la recensione

Cosa succederebbe se la vita ci regalasse una seconda possibilità? Le cose andrebbero allo stesso modo o diversamente? È a questo interrogativo paradossale e metafisico che la commedia romantica Blackout Love diretta della regista esordiente Francesca Marino dà la sua personale risposta. Lo fa con pochissimi fronzoli, rimanendo centrato sulla trama e sui suoi personaggi, con una regia divertita e dinamica.

Tutto in Blackout Love è evidentemente giusto, dalla scenografia (l’appartamento della protagonista è un vero sogno immobiliare, colmo di particolari che invitano a “entrare”) alla fotografia, passando per la recitazione. Questo rende il film piacevole, scorrevole, coinvolgente. Eppure, a visione finita, un pochino si rimane col dubbio che quello che si è visto sia sempre rimasto ancorato a sé stesso, che il film abbia parlato di sé, della sua storia, della sua trama, senza riuscire davvero a rispondere alle sue domande. Qual è, quindi, la visione degli autori?

Siamo in piena commedia romantica. Valeria (Anna Foglietta) dopo essere stata lasciata da Marco (Alessandro Tedeschi) un anno prima, una mattina si sveglia e trova l’ex compagno nel suo appartamento. Un momento di confusione, poi la sconcertante presa di coscienza: Marco, chiavi di casa alla mano, ha fatto un incidente e ha dimenticato un intero anno della sua vita. Per lui quella è ancora la sua casa e Valeria è ancora la donna che ama. Peccato che Valeria non abbia dimenticato e, accettando di fare finta di nulla su pressione del medico e della suocera, questa decide di prendersi cura dell’ex con l’intenzione di poterlo poi lasciare lei e avere la sua vendetta. Ma, come da regola, il futuro è in realtà ancora tutto da scrivere.

Blackout Love affronta il cinema delle “sliding doors” e dei what if in maniera molto più razionale e realistica di quanto aveva fatto Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luchetti (dove un uomo ritorna dalla morte per pochi minuti per cercare di risistemare i suoi sbagli), il quale invece aveva scelto una chiave molto più estrema e surreale. La sceneggiatura di Tommaso Renzoni fa in questo senso una scelta di campo, decidendo di mantenere il tutto sempre credibile e verosimile e il tono il più delle volte serio. Sì, Anna Foglietta carica le espressioni, i momenti comici ci sono, ma l’atmosfera e gli eventi sono molto più da dramma che da commedia. Ciò che forse stona di Blackout Love è allora questa strana discordanza tra ciò che accade e come questo viene raccontato: la regia ha voglia di giocare, di provocare, di prendersi poco sul serio, mentre la storia si prende tantissimo sul serio.

È vero, il film metafisico è spesso un film dove vige la restaurazione: ci si illude di andare avanti per poi capire che è necessario tornare al punto di partenza. Da questo punto di vista Blackout Love dà l’impressione di essere però non solo totalmente classico, ma quasi anacronistico: le cose vanno in un certo modo perché il film non può deviare da certi standard, da certe aspettative. Nonostante queste più o meno piccole storture e indecisioni, il film ha comunque una sua morale che, per quanto banale o affermata con non troppa profondità, arriva: è la necessità costante di migliorarsi, di guardare dentro sé stessi e vedere anche i propri difetti, poiché le relazioni richiedono collaborazione e non egoismo. Niente di più, niente di meno.

Cosa ne dite della nostra recensione di Blackout Love? Scrivetelo nei commenti!

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