Blacklight, la recensione
È tutto impacciato, confuso, idealmente vago e anche un filo involontariamente comico Blacklight, l’action movie diretto da Mark Williams che guarda al complottismo a stelle e strisce.
La recensione di Blacklight, dal 25 luglio su Sky
Il protagonista è un Liam Neeson non troppo arzillo (un po’ fa parte del personaggio, un po’ no) che interpreta un agente al servizio dell’FBI: il compito di Travis è quello di “tirare fuori dai guai” gli agenti sotto copertura che stanno perdendo la bussola morale o il polso della situazione. Travis vorrebbe andarsene felicemente in pensione, passare del tempo con la nipote e la figlia e smetterla di controllare le uscite di sicurezza ovunque vada (c’ha pure il disturbo ossessivo compulsivo) e invece di fronte a lui si inanellano una serie di omicidi politici che lo portano a collaborare con una reporter altrettanto spaesata e confusa, Mira (Emmy Raver-Lampman) per cercare di vederci chiaro.
Come una versione edulcorata di un mondo decisamente più complesso, Blacklight (anche il titolo sembra messo a caso, chissà a cosa si riferisce) parla per estremi, ci mette un po’ di alt-right, un po’ di progressismo e di diritti civili - c’è una simil Ocasio-Cortez che fa un comizio -, un po’ di intraprendenza individualista. Tutto un po’ buttato a caso alla bell’e meglio.
Le scene di azione pura non sono neanche malaccio per come sono girate, anche se poco credibili (inseguimenti in macchina decisamente esagerati per le situazioni), ma almeno danno un po’ di pepe a uno svolgimento altrimenti vuoto di stimoli. Per il resto, però, c’è davvero ben poco da tenere.
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