Black Science vol. 3: Orizzonte di Fuga, la recensione
Abbiamo recensito Black Science vol. 3: Orizzonte di Fuga, nuova uscita della serie edita da BAO che si conferma uno dei prodotti più interessanti in circolazione
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Prospettive. Davvero un bel guaio. Grant McKay, il leader inadeguato quanto geniale dei Dimensionauti di Black Science, fa il suo ritorno nel terzo volume della saga fantascientifica di Rick Remender e Matteo Scalera. I suoi due figli e il resto della squadra di naufraghi spazio-temporali che li accompagnano riluttanti (tutti?) lo hanno creduto morto per tutto il corso del secondo volume. Alcuni erano quasi felici della scomparsa di questo scienziato fedifrago, incoerente, di questo padre assente e contraddittorio, senza attenzioni da dedicare a una moglie abbandonata e a una figlia costretta a crescere da sola e rinchiudersi dentro una corazza di ribellione fine a se stessa. Dopotutto che farsene di un leader incapace di prendersi cura di chi lo segue, troppo concentrato sul proprio ego e sui propri obiettivi per fermarsi a considerare cosa sia meglio per gli altri? C'è però anche chi non si è dato per vinto, chi non ha abbandonato la speranza di riavere Grant, sempre capace di trovare una soluzione ad ogni problema, coraggioso ed audace, brillantissimo, dotato di uno sguardo sempre diverso da quello altrui, sempre avanti. Un uomo così è il mentore perfetto, un eroe, in grado di portare pesi che non immaginiamo nemmeno e quello, terribile, della solitudine del genio. Averlo accanto nelle condizioni dei Dimensionauti, in balia delle bizze di un Pilastro danneggiato che li fa saltare in modo randomico nella cipolla delle realtà concentriche, è l'unica speranza di salvezza.
Se pensate che Black Science sia una serie complessa, non avete torto. La sua trama è condotta senza respiro, con un ritmo assordante, senza un ordine preciso, volutamente disorientante. Dopotutto, siamo anche noi in viaggio assieme a Grant, Pia, Kadir, Rebecca, Nate e gli altri sventurati protagonisti. Come loro, anche noi siamo in balia di una storia che non ha alcuna intenzione di aspettare che noi l'abbiamo afferrata, ma salta da una situazione all'altra, seguendo i capricci del Pilastro, conducendoci da mondo a mondo, da un contesto a un altro, da un genere narrativo a quello che gli sta accanto, fusi assieme senza continuità, ma con grande maestria da un Rick Remender quasi lisergico. Del resto, Grant è un drogato. Non solo per l'uso di sostanze che fa, ma soprattutto è drogato di scienza, di conoscenza, di scoperta. Una dipendenza pagata dalla sua famiglia con la moneta consueta: l'assenza, la scostanza, la menzogna sistematica per giustificare i propri comportamenti, raccontarsi che si sta agendo per il loro bene, che gli altri non capiscono te e la strada che hai intrapreso, ma tu hai una soluzione per tutto e, un giorno, vedranno.
La quale prosegue affascinante assieme all'odissea di Grant McKay, attorno a cui ruotano attorno tutti gli altri, le cui vicende passate, i cui motivi per affrontare il viaggio e le cui personalità sono in realtà il mezzo attraverso cui scopriamo un pezzo del protagonista, dato che tutti hanno con lui un rapporto profondo e differente. Prosegue il suo tentativo di ricomporre la propria famiglia, di riportare a casa i suoi figli, di realizzare il suo sogno, di abbracciare il creato, di salvare infiniti mondi, di rimediare ai propri infiniti errori. Perché si può sempre rimediare ai propri errori, giusto? Si può riafferrare se stessi, si può cambiare, si può scegliere la propria strada, si può fare quel che è giusto. E Grant lo farà, vero? Perché lui non è schiavo di se stesso, è artefice del proprio destino. Smette quando vuole, lui.