Black Mirror 4x04 "Hang the DJ": la recensione

Black Mirror racconta una storia d'amore ambientata in un mondo distopico: la recensione di Hang the DJ

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Spoiler Alert

Alle spalle di Hang the DJ c'è tutta la capacità di Black Mirror di puntare forte sull'emotività che le sue riflessioni provocano. Una emotività pura e positiva, che trascende il puro gusto della metafora e della critica sociale e, semplicemente, racconta storie piacevoli, personaggi finalmente umani. Da questo punto di vista l'episodio diretto da Tim Van Patten, regista nella scuderia dei più grandi capolavori della HBO, non può che accostarsi a San Junipero. Di quell'episodio replica le meccaniche romantiche, la ricerca dell'emozione incontaminata, perfino il tentativo finale di appoggiarsi ad una canzone riconoscibile come lo era Heaven is a Place on Earth. La bella sorpresa è che ci riesce, ponendosi come il miglior episodio tra i sei diffusi.

In un mondo distopico, scopriamo che le relazioni sono comandate da un dispositivo che ognuno deve portare con sé. Una donna e un uomo, interpretati da Georgina Campbell e Joe Cole, si incontrano in questo modo e trascorrono del piacevole tempo insieme. Ma le lancette virtuali scorrono velocemente e i due si separano, pronti ad essere assegnati a nuove relazioni passeggere che li condurranno, secondo le statistiche e i dati elaborati dal dispositivo, a trovare il compagno della vita. Nel corso del tempo seguiamo queste due persone, ognuna con le sue esperienze piacevoli e non, ognuna in fondo mai del tutto dimentica di quella notte passata assieme. Come se il ricordo di quell'appuntamento fosse il filtro su cui misurare tutto ciò che arriverà in seguito. A quanto pare, tutto accade per una ragione.

A prescindere dai temi trattati e dalla rivelazione finale, Hang the DJ funziona in primo luogo come storia a sé. È più canonico nella trattazione degli eventi e dei personaggi rispetto alla media di Black Mirror, che di solito è un fiume in piena che trascina ogni cosa verso la tragedia. Qui la sensazione di angoscia latente lascia il posto ad un approccio più rilassato, che irride le stereotipie di coppia, che ci lascia conoscere i due personaggi e che costruisce un forte legame con entrambi. I protagonisti sono due persone piacevoli, con i loro difetti, alle quali si può voler bene. Per una volta in Black Mirror non si tratta tanto di sapere come la tecnologia distruggerà la vita delle persone, ma di fare il tifo per loro, convincendosi che, forse, stavolta il lieto fine è possibile.

Appunto, San Junipero, per quanto con Hang the DJ il risultato in fondo non è così forte e difficilmente si replicheranno le stesse dinamiche da cult immediato. La componente fantascientifica gioca su un'idea di mistero perseguita per altre vie, che ci presenta un luogo inquietante e sottoposto a un rigido controllo dall'alto, che accettiamo ma del quale non comprendiamo fino a fondo le tematiche. E dunque la fuga degli amanti come forza naturale per abbattere le barriere della società, un classico di matrice distopica del Novecento, da 1984 a L'uomo che fuggì dal futuro. Il sentimento capace di scardinare le regole prestabilite, e annunciare con un grido il desiderio di non omologarsi. Almeno fino ad un finale che rimette in gioco ogni cosa.

Scopriamo dunque che, in un istante che nel mondo virtuale corrisponde a mesi, un'app ha calcolato le compatibilità della coppia di protagonisti, ragionando sulle percentuali di fuga dal mondo distopico. La storia che abbiamo seguito non era altro che una delle mille simulazioni, i due personaggi scompaiono insieme agli altri, lasciando alle loro controparti terrene un numero sul quale basarsi. La domanda è: questo è un finale lieto o no? Da un certo punto di vista la scrittura sembra suggerirci di sì. Pur se in una simulazione, i due amanti, e la maggior parte di loro, ha avuto la forza di sottrarsi alle imposizioni sociali del sistema, costruendo una via alternativa, imponendo i sentimenti al di sopra delle costrizioni e dei divieti.

Inoltre, questo non va dimenticato, ancora una volta Black Mirror ci racconta della costruzione di coscienze virtuali, che per il solo fatto di percepirsi come esseri reali meritano considerazione. Nel loro rispondere agli schemi di un software, i protagonisti sono pur sempre liberi di scegliere se rispettare quella programmazione oppure no. Eppure il punto fondamentale è proprio questo: dobbiamo capire cosa prevede la programmazione di base. Se la fuga dal sistema, la rivoluzione per così dire, è integrata con l'esito positivo della percentuale, allora più che una vittoria si tratta di una conferma delle regole. Nel mondo reale, i protagonisti che si frequentano sulla base di un suggerimento di una macchina, non sono poi così più liberi rispetto alle loro controparti virtuali che da quella fuggivano (questo è il corto circuito ideale del finale di episodio). Ma c'è anche un'altra possibile lettura.

Possiamo immaginare che, nella grande simulazione, il dispositivo li stesse allontanando l'uno dall'altro, ma che, per qualche motivo, la loro determinazione a stare insieme fosse più forte dei comandi di base. Allora le coscienze che, per un infinitesimale lasso di tempo hanno vissuto, sono state più forti della loro programmazione, e hanno mandato all'esterno un messaggio di ribellione. I personaggi, quelli del mondo reale, non erano destinati a rimanere insieme secondo i normali calcoli, ma le simulazioni hanno saputo vedere oltre.

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