Black Mirror 4x02 "Arkangel": la recensione

La recensione di Arkangel, episodio di Black Mirror diretto da Jodie Foster, con Rosemarie DeWitt

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Spoiler Alert

Arkangel è l'episodio tipico di Black Mirror, senza dubbio nella quarta stagione il più simile per impostazione e scrittura all'incarnazione inglese della serie di Charlie Brooker. Ne riprende ad esempio la freddezza calcolata nell'accumulare spunti e osservazioni che rimandano fin dal primo istante ad una svolta tragica che inevitabilmente arriverà. Attraverso il solito filtro fantascientifico viene impostata una riflessione su una relazione umana tra le più normali che si possano immaginare, quella tra una madre e una figlia, o ancor più in generale, tra un genitore e un figlio. Un senso di angoscia crescente domina sulla visione impietosa tenuta con mano ferma dalla regista Jodie Foster, e ci consegna alcune ottime e brutali considerazioni sul senso di responsabilità e la costruzione di una morale individuale.

L'ambientazione dell'episodio è in larga parte contemporanea. L'unica grande eccezione è rappresentata dall'espediente narrativo che dà il titolo all'episodio. Questo Arkangel è una specie di microchip che viene impiantato, se i genitori lo desiderano, nel cervello dei figli. A quel punto, tramite un tablet, il parente può vedere in ogni momento ciò che vede il figlio, e può inoltre subentrare con un filtro per oscurare le immagini che causano stress, ansia o altre sensazioni negative. La protagonista dell'episodio è una madre apprensiva interpretata da Rosemarie DeWitt, la quale decide di far eseguire la procedura sulla figlia Sarah. Il racconto si snoda lungo tutta l'adolescenza della bambina, infine ragazza, con esiti tragici.

Corre una tensione viscerale lungo tutto l'episodio Arkangel, che si avviluppa lungo il legame fatale, e distorto, che questa madre sviluppa nei confronti della figlia. Helicopter parent,li definiscono in America, ossia genitori che si frappongono tra i figli e le asperità dell'esistenza, oltre il normale senso di protezione e le preoccupazioni che è logico provare. Fin da subito comprendiamo che c'è qualcosa di malsano nella manipolazione tecnologica e relazionale che questa donna sta mettendo in atto. Nonostante tutti i gravi errori che la figlia compie, non abbiamo mai la sensazione di assistere ad un brusio in sottofondo, ad un dibattito sulla giustezza o meno delle azioni della madre.

Non ce l'abbiamo per un semplice motivo: perché non c'è mai un confronto tra le due. La donna scopre la condotta della figlia, e anziché affrontarla di petto cerca la strada più semplice, prendendo per lei le decisioni, anche le più traumatiche. Nascosta nell'episodio, all'interno di una lezione a scuola, c'è una piccola riflessione sul libero arbitrio e sulla responsabilità individuale, ed è su questo tema che si impernia tutto l'episodio di Black Mirror. Qui il problema non è – solo – la violazione della privacy o l'incomunicabilità. Il senso di ciò che vediamo è più alto. Parte del trauma della crescita consiste nel procedere a tappe forzate verso un momento in cui, inevitabilmente, le nostre scelte libere diventano nostre responsabilità. Se di quelle scelte non comprenderemo il significato, perché qualcuno le prenderà per noi chiudendoci sotto una campana di vetro, non saremo mai del tutto persone consapevoli o mature.

Da tutto ciò poi l'episodio ripiomba come è logico su considerazioni più intime e trascinanti, ed è qui che il lavoro sulla sceneggiatura funziona al pari delle tematiche in gioco. Molto bella questa idea di raccontare più o meno fluidamente gli anni di crescita di Sarah, che sono anche anni di riconsiderazione del rapporto con la madre. E la tecnologia? Qui tutto è molto strumentale. Ognuna di queste considerazioni ha senso nella nostra realtà come in quella di Black Mirror, ma ovviamente la serie utilizza come al solito un punto di vista estremo. C'è un momento apprezzabile in cui Arkangel è molto utile nel prestare soccorso immediato, ma al tempo stesso tramite la ripetizione di una scena con un cane vediamo come lo strumento rappresentasse anche un freno all'autoeducazione della giovane. Anche qui, in generale la tecnologia è impersonale, non è né buona né cattiva, dipende tutto dall'uso che se ne fa.

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