Black Lightning 1x02, "LaWanda: The Book of Hope": la recensione

La nostra recensione del secondo episodio della prima stagione di Black Lightning, intitolato " LaWanda: The Book of Hope"

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Dopo nove anni, Jefferson Pierce è tornato a indossare i panni di Black Lightning a seguito del rapimento delle sue due figlie, Anissa e Jennifer. Conseguentemente, la riapparizione del supereroe di Freeland ha dato agli abitanti della città, martoriata dal crimine, una nuova speranza.

Jefferson, però, non è più un ragazzo, e deve affrontare le conseguenze, fisiche oltre che psicologiche, delle sue fatiche come combattente del crimine. L'uomo, che sta provando a ricostruire il rapporto con la sua ex moglie, si trova di fronte a un bivio: pensare a sé e alla sua famiglia, appendendo una volta per tutte la maschera al chiodo, o tornare in campo per liberare la sua città dal male che la attanaglia, con il perfido Tobias Whale e tutti i suoi sgherri che regnano incontrastati.

Nel frattempo, una madre prova a farsi giustizia da sé, e le stesse figlie di Jefferson reagiscono a loro modo al trauma subito, con Anissa che sembra aver ereditato alcune delle capacità di suo padre.

Dopo un inizio promettente, se non esaltante, c'erano aspettative sostanzialmente medio-alte per il prosieguo di Black Lightning. Quasi sempre, infatti, è il secondo capitolo di una nuova serie TV a fungere da affidabile cartina tornasole sulla bontà qualitativa della stessa, dato che capita spesso e volentieri che l'episodio pilota possa essere parzialmente ingannevole, sia in senso positivo, che negativo. Tristemente, LaWanda: The Book of Hope delude: abbiamo sostanzialmente assistito a una copia carbone del capitolo precedente, con soluzioni non solo narrative, ma anche tecniche, che sono state replicate in maniera abbastanza colpevole.

Come nell'episodio di partenza, abbiamo un protagonista indeciso su quello che deve fare: Pierce, infatti, necessita di un evento climatico che possa portarlo a superare un ideale valore soglia che lo faccia agire, principio base che porta archetipicamente alla nascita di qualsiasi supereroe. Nel primo caso, avevamo il rapimento di Anissa e Jennifer, mentre nel secondo la morte di LaWanda. Dopo il superamento di una fase di plateau, Black Lightning ritorna, ha il suo momento "epico", sconfigge il cattivo, e torna a casa: la ripetizione di un pattern già visto in termini di storytelling è praticamente speculare e crea facilmente una sorta di "effetto déjà vu" che fa sorridere (amaramente).

In realtà, è tutto l'impianto narrativo del secondo episodio dello show a scricchiolare, dalle varie fasi "d'indagine" che scaturiscono poi nella battaglia finale, ai momenti di relativa quiete, in cui i personaggi interagiscono tra loro: ci appare tutto molto macchinoso e poco naturale, oltre al fatto che le varie sequenze sono abbastanza sconnesse tra loro, in termini di fluidità della storia. Sono in particolare gli intermezzi con protagonisti Jennifer e il suo nuovo fidanzato a risultare oggettivamente imbarazzanti: dai dialoghi raffazzonati e pieni di luoghi comuni, sino all'interpretazione dei due giovani attori coinvolti, siamo tristemente spettatori di qualcosa che si fa fatica a credere sia parte integrante di un prodotto televisivo di medio profilo, e non di una recita scolastica.

Anche sotto l'aspetto meramente tecnico, LaWanda: The Book of Hope è un episodio stentato: per rendersene conto, basta prendere l'"hallway fight" di Black Lightning impegnato in un combattimento nella tromba delle scale di un edificio e confrontarlo con lo stesso format più volte visto nelle serie Marvel/Netflix (di certo non un'eccellenza, ma un prodotto di qualità media) per rendersi conto di quanto impari sia tale paragone.

Persino la colonna sonora, apprezzata nell'episodio pilota, diviene qualcosa di ripetitivo e persino ingombrante, andando a sovrastare l'azione in modo innaturale e conseguentemente poco armonico.

Nel valutare questo episodio, dunque, siamo molto interdetti e non possiamo non sottolineare come abbiamo assistito a uno spettacolo gravemente insufficiente.

Chiudiamo la recensione con uno snello elenco dei tanti riferimenti ai fumetti della DC Comics con protagonista Fulmine Nero, specie in termini di personaggi. La gang dei Cento appare per la prima volta sulle pagine di Superman's Girl Friend Lois Lane #105 (1970), creata da Gerry Conway e Curt Swan: si tratta di un gruppo criminale nato nel lontano 1462 in Spagna, che si è poi diffuso in tutto il mondo, dando vita a diverse "succursali", come quella di Metropolis guidata da Tobias Whale. A sua volta, Whale è il primo avversario di Fulmine Nero, e il suo esordio si registra sulle pagine di Black Lightning #1 (1977), creato da Tony Isabella e Trevor Von Eeden: il villain è un afro-americano albino, dotato di grande forza, ma nessuna abilità sovrannaturale. Sullo stesso albo appare per la prima volta il personaggio di Peter Gambi, il quale è una sorta di secondo padre di Jefferson Pierce.

Le figlie del protagonista hanno anche loro un corrispettivo a fumetti: Anissa Pierce fa il suo esordio sulle pagine di Outsiders #1 (2003), creata da Judd Winick e Tom Raney. Di orientamento omosessuale, ha abilità metaumane che le consentono di alterare la densità del suo corpo. Jennifer Pierce appare invece originariamente sulle pagine di Justice Society of America #12 (2008), creata da Geoff Johns e Dale Eaglesham, sul modello della figlia di Fulmine Nero apparso nell'universo alternativo di Kingdom Come (1997): nei fumetti Jennifer ha gli stessi poteri di suo padre.

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