Black as Night, la recensione
Black as Night di Maritte Lee Go è un film che pretende di indagare la contemporaneità e che invece sa nemmeno cosa vuole raccontare di preciso
Ha l'ansia di parlare di un sacco di cose Black as Night: e infatti non riesce a portare a termine nessun discorso senza scadere nel banale e nell'approssimativo. A partire dal focus sulla comunità afroamericana di New Orleans, il film si muove infatti verso innumerevoli direzioni tematiche che spaziano dal disagio post uragano Katrina alla schiavitù, passando per la speculazione edilizia e la dipendenza dalla droga.
La vicenda di Shawna (Asjha Cooper), un'adolescente con una madre tossicodipendente che si mette a uccidere vampiri, non va mai oltre gli stessi cliché che vorrebbe smontare. Il film non fa nemmeno il minimo sforzo necessario per aggiungere quel tanto di approfondimento in più che basterebbe ad empatizzare con la protagonista: la sua sete di vendetta contro un'oscura setta di vampiri (la cui motivazione è sua volta estremamente confusa e genericamente ideologica) è il debole tirante narrativo che guida il film verso un epilogo-spiegone. Oltre infatti ai paroloni, ai discorsi impegnati e alle prese di posizione più o meno militanti di Shawna e dell'antagonista, il film non nasconde nessun significato ulteriore, nessun chiaro messaggio - e se c'è, è talmente confuso da risultare inesistente.
Black as Night è quindi un film che pretende di raccontare verità, emozionare ed appassionare: non avendo però la voglia di rinnovare un datato immaginario vampiresco (ancora siamo alle prese con aglio e paletti di legno) né il coraggio di fare una scelta di campo precisa e sinceramente politica, la sua presunta indagine sulla realtà si dissolve nell'aria con la stessa velocità con cui è stata pensata.
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