[Biografilm 2016] Lo and Behold - Reveries of the Connected World, la recensione

Werner Herzog prende di petto la rete e le sue contraddizioni, Lo and Behold è una straordinaria demolizione della consueta retorica a colpi di puro herzoghismo

Critico e giornalista cinematografico


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C’erano buone ragioni per aver paura di Lo and Behold. Anche il più religioso dei credenti nell’unica vera chiesa che valga la pena venerare, quella di Werner Herzog e del suo pragmatico materialismo poetico, poteva temere il confronto tra il cineasta avventuriero, massima espressione dell’analogico (“In celluloid we trust” dice con senso beffardo in Il diamante bianco, stringendo una piccola camera caricata a pellicola) e le contraddizioni della tecnologia moderna. Troppo facile cadere nella trappola luddista, troppo difficile dar conto di una realtà così lontana dal suo mondo e dalla sua poetica.

Invece forse siamo di fronte al film più divertente mai girato da Werner Herzog, di uno spirito scanzonato (mediato dal consueto rigore nell’indagine) che dà al film un andamento di fantastica resistenza al banale.

Il banale sono i soliti temi da fantascienza: il futuro che sta arrivando, i computer che dominano le nostre vite, le intelligenze artificiali più intelligenti degli uomini e tutto il portato di fobie che si accompagna ad esse. Herzog le supera a destra, intervistando alcuni degli uomini più importanti del settore tecnologico di oggi, da Mitnick a Musk fino a ricercatori nel campo del cervello, dell’intelligenza artificiale e agli ingegneri nelle fabbriche di robot, e poi contrappuntando le loro visioni tra lo speranzoso e lo spaventoso, con un’ironia tutta sua, fatta di domande assurdamente poetiche (“Può internet sognare se stesso?”) e aspirazioni a cui nessuno aveva mai pensato. Tutto questo genera un contrasto esilarante e reazioni dallo spropositato coinvolgimento.

Alla fine Lo and Behold, dolcemente arcaico fin dal titolo, non parla realmente della tecnologia ma degli uomini che oggi la studiano o che ieri ne hanno segnato l’evoluzione, dei pionieri e degli avventurieri del progresso. E li prende in giro tutti. Sembra che il divertimento principale di Herzog sia renderli ridicoli, a partire da inquadrature spesso ingrate, da piani d’ascolto imbarazzanti a da una passione per il portarli ai confini estremi del loro nerdismo. Stiamo sempre parlando di vere eminenze della scienza e tecnologia moderna ed Herzog ci tiene a precisarlo e sottolinearlo con rispetto, ma l’approccio che ha nel ridicolizzare sottilmente la maniera in cui si materializza nei loro discorsi la fantascienza è fantastico.

In molti hanno cercato di raccontare dove stiamo andando o cosa siamo diventati dopo la grande rivoluzione tecnologica. Nessuno ha mai cercato (e soprattutto è riuscito) a mettere in crisi, sebbene aiutandosi con il montaggio in postproduzione, le più grande eminenze scientifiche e tecnologiche del pianeta con quesiti al limite del socratico ed un umorismo che, sia detto con tutto l’affetto, la stima e l’amore per il cinema di Herzog, a tratti sembra una versione intellettuale di quello televisivo di Le Iene.
L’unico momento in cui regista, intervistato e quindi pubblico sembrano stretti in un attimo di vera vertigine culturale, di atterrita estasi di fronte all’immenso (che è il campo in cui Herzog è davvero a suo agio) è l’inizio, quando si addentra nel luogo in cui è nato internet, ricostruito per com’era negli anni ‘60. Una fortezza militare d’acciaio e cavi che pare un sancta sanctorum.

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