Big Mouth (terza stagione): la recensione
Alla terza stagione, Big Mouth conferma pregi e difetti: un forte racconto della sessualità adolescenziale, un po' confuso sullo stile che vuole proporre
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Sarebbe davvero interessante poter sbirciare i dati sulle fasce di pubblico che guardano Big Mouth. Aiuterebbe forse a comprendere meglio lo stile di questa serie animata, con tutte le sue contraddizioni e i segnali lanciati a target molto distanti. La serie porta come una bandiera la propria capacità, anche il coraggio, di parlare di argomenti tabù riferiti alla sessualità adolescenziale. Poi però prendiamo alcuni esempi da questa terza stagione: contiene riferimenti al thriller degli anni '90 Rivelazioni, a I soliti sospetti, al solito Duke Ellington (a cui è dedicato un episodio intero). A quale pubblico sono rivolti questi riferimenti?
Big Mouth, forte del rinnovo per altre tre stagioni, conferma il proprio stile, non rinuncia a nulla della propria sgradevolezza. Un fastidio di immagini e parole che si sposa bene con il trauma dell'adolescenza e della scoperta del proprio corpo. Ancora una volta Nick, Andrew e gli altri personaggi sono alle prese con piccoli grandi drammi legati alla pubertà, e ancora una volta accanto a loro – a volte parecchio spaesati – ci sono i mostri degli ormoni. La serie ce ne racconta le assurdità quotidiane, una carrellata perlopiù di brutte figure e esempi di immaturità che probabilmente sono necessari per crescere.
Il resto rimane un mix un po' confuso di personaggi generalmente detestabili, ormai più strumenti narrativi per parlare di certi temi che vere personalità. Anche perché la serie declina tutto il proprio universo solo in base alla sessualità, non esiste nient'altro, tanto che perfino l'ossessione per il cellulare assumerà contorni erotici. Nel fare questo, la serie propone un pacchetto completo di assurdità, volgarità assortite e assordanti, e tutto cade sempre lontano dalla coerenza di stile e narrativa di un South Park.