BiFest 2016: Veloce come il vento, la recensione [2]

La nostra recensione di Veloce come il Vento, visto al BiFest 2016

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A cura di Raffaele Caporaso

Sarebbe facile e ingannevole asserire che Veloce come il Vento è il film che non ti aspetti, perché un lungometraggio del genere, dal taglio così moderno e di spessore, lo aspettavamo da tempo, un po’ afflitti dal generale grigiume del cinema italiano degli ultimi anni.

Ci aveva già pensato di recente Lo Chiamavano Jeeg Robot ad alzare la virtuale e proverbiale asticella, dimostrando finalmente che è possibile anche nel nostro Paese realizzare film in grado di carpire l’interesse di un pubblico giovane e più specifico, senza svendere la propria identità, ma dimostrando che scegliere una strada più simile al modello americano non è blasfemia, e che “pop” o “mainstream” non sono parolacce che vanno necessariamente a strappar via quel tanto decantato spessore autoriale che tutti chiedono, ma nessuno poi sa davvero bene cos’è.

Veloce come il Vento, film diretto da Matteo Rovere, e con protagonisti il navigato Stefano Accorsi e la giovanissima (e sorprendente) Matilda De Angelis narra la storia di Giulia De Martino, una giovane donna che a soli diciassette anni è già una promessa (quasi) mantenuta dell’automobilismo sportivo, gareggiando nel Campionato GT per la scuderia di suo padre. Sfortunatamente, però, il papà di Giulia viene improvvisamente a mancare, lasciando la ragazza sola al mondo, in una situazione di grande precarietà psicologica, emotiva e anche economica, specie considerando la presenza di suo fratello minore, il piccolo Nico. Inaspettatamente, il fratello maggiore di Giulia, Loris De Martino, a sua volta ex pilota (era soprannominato “il Ballerino”), ma oggi un tossicodipendente disadattato, tornerà nella vita dei suoi due fratelli, inizialmente per una mera questione di interesse personale. Giulia e Loris, dunque, dovranno tornare a conoscersi e imparare a tollerarsi l’un l’altra, cercando di trovare un equilibrio nel loro difficile rapporto, il quale però saprà dimostrarsi potenzialmente vincente, e foriero di crescita e amore reciproci, mentre sullo sfondo i motori rombano, i dischi dei freni fumano e gli pneumatici si consumano a contatto con l’asfalto rovente delle piste da corsa.

È un dato di fatto che, quando hai dei buoni protagonisti, personaggi a tutto tondo con un proprio preciso profilo psicologico e attitudinale, è più facile che si possa dar vita a una buona storia, e conseguentemente a un buon film. Veloce come il Vento ne è la riprova. La pellicola, infatti, ha il maggiore punto di forza proprio in Giulia e Loris, e nel rapporto che si viene a creare tra queste due figure molto particolari, scritte in maniera egregia e soprattutto per nulla stereotipata e macchiettistica.

Giulia è una donna forte e coriacea, ben più matura dei suoi diciassette anni anagrafici. Il dover crescere in una situazione familiare precaria e particolare, oltre che il correre a duecento chilometri orari come lavoro, l’hanno dotata di una solida corazza, che le permette di affrontare ogni imprevisto con coraggio e determinazione. Ma, sotto questa scorza, Giulia è pur sempre una diciassettenne, una ragazza ancora in fase di crescita e alla ricerca del suo posto nel mondo.

D’altro canto, Loris, è un uomo con un passato oscuro e fatto di traumi, dall’anima frammentata e tormentata, tanto da aver bisogno di trovare continuamente rifugio nella droga, l’unico modo per sfuggire alla sua grande sofferenza. Loris è un tossico vero, una figura instabile, irresponsabile e per questo potenzialmente persino pericolosa. Ma, sotto questa superficie di dolore e sporcizia, l’uomo ha un’anima buona ed empatica, che saprà rivelarsi carica di sorprese. Spendiamo qualche altra riga per elogiare quanto questo personaggio funzioni in maniera perfetta in questa storia, una figura tragica nella sua comicità e comica nella sua tragicità, quindi perfettamente equilibrata e in grado di esaltare nuovamente le capacità attoriali di Accorsi, che si conferma sempre un abile trasformista, in grado di dare il suo meglio quando impegnato a interpretare personaggi in un certo senso borderline.

Come già accennato, è sempre molto bello quando ci sono personaggi forti e di spessore in grado di guidare una storia nel corso del suo svolgimento, con coerenza e fluidità. In Veloce come il Vento i protagonisti sono piloti nel film e del film, e questo aspetto rende questo lungometraggio apprezzabile dall’incipit alla sua naturale conclusione, senza che vi sia mai un vero momento di stanca nel corso delle quasi due ore di durata della pellicola. Grande merito di Matteo Rovere, sia regista che sceneggiatore (assieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri) del film, è proprio quello di aver saputo costruire un valido racconto, che ha nei due protagonisti le sue solide fondamenta: è sempre molto apprezzabile quando si instaura un robusto filo emotivo tra i personaggi sul grande schermo e lo spettatore, specie se in maniera così immediata e naturale.

Veloce come il Vento è però anche altro, oltre che una storia quanto mai umana che parla di famiglia e amore fraterno, trattandosi infatti di un “film di corse”, e quindi abbastanza di genere. La modernità e l’intelligenza con le quali vengono raccontate le gare automobilistiche nel corso della narrazione ci ha piacevolmente sorpreso. Vi è infatti grande consapevolezza e padronanza del mezzo (o forse, più metaforicamente, dei mezzi) in questa storia, anche grazie al fatto che si è saputo attingere sapientemente ai precedenti cinematografici di genere: la scelta delle riprese e prospettive si rifanno sia alla realtà, con inquadrature e sequenze che sembrano estrapolate direttamente da una gara professionistica, sul modello di quelle trasmesse in TV (che siano di Formula 1 o altro), sia alla tradizione cinematografica di genere, si guardi soprattutto alla saga di Fast & Furious, con alcuni momenti in cui viene adottata anche la tecnica della slow motion in modo capillare e funzionale alla storia. Allo stesso tempo, però, Rovere non eccede in questo senso, alla ricerca di una scialbo colpo a effetto, ma riesce a operare una strategica funzione di sintesi, distillando perfettamente tali sequenze, che non diventano mai ingombranti nel corso della narrazione. Non ci sorprenderebbe apprendere che il regista sia anche un conoscitore (e magari amante) di videogame di automobilismo sportivo, come Gran Turismo, poiché abbiamo evidenziato alcune similitudini cross-mediali, specie poi vedendo apparire, nella parte conclusiva del film, una Subaru Impreza blu con decorazioni gialle, la stessa guidata dal compianto pilota di rally Colin McRae all’apice della sua carriera, e “preda” ambitissima per tutti i giocatori della saga video-ludica intitolata Colin McRae Rally.

Molto valida e d’impatto la colonna sonora, composta da brani adrenergici e capaci di esaltare ulteriormente lo spettatore, portandolo a partecipare alla vicenda con grande trasporto.

In conclusione, Veloce come il Vento è una pellicola con tanti cavalli, una perfetta tenuta di strada, che accelera in maniera fluida, frenando al momento giusto al fine di trovare sempre la corda di ogni curva. Al volante c’è Matteo Rovere, che si rivela essere davvero un pilota esperto, al quale va il nostro plauso.

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